5ª Domenica di Quaresima – di Santa Maria Egiziaca

“Il mistero della vittoria attraverso il pentimento”

Vangelo secondo Marco 10, 32-45

Oggi facciamo il nostro ultimo ritiro spirituale lungo il cammino dei quaranta giorni, che terminerà venerdì sera con l’ingresso nella festa della Resurrezione di Lazzaro, indissolubilmente legata all’Ingresso del Signore a Gerusalemme – la gioia della vittoria mistica sulla morte. Il percorso della Quaresima, però, si concluderà con una settimana particolare, in aggiunta i 40 giorni, quella della Santa Passione, che apre la via alla Risurrezione.

Nell’ultima settimana di cammino entreremo in un altro mistero, che non è più quello della disciplina di sé, del digiuno, come lotta con i piaceri fisici legati alla nostra esistenza condizionata dall’eredità di Adamo ed Eva, ma, a partire dalla sera della Domenica delle Palme, intraprenderemo un cammino di sofferenza condivisa – il digiuno del dolore e del lamento, il digiuno delle lacrime per Colui che si rivela essere il Re della Gloria.

Nella Vita di Santa Maria Egiziaca, letta durante il Canone di Sant’Andrea di Creta nella quinta Settimana della Grande Quaresima, che oggi concludiamo, leggiamo quanto segue: i monaci di un tempo, all’inizio della Quaresima, dopo essersi chiesti perdono l’un l’altro nella Domenica della cacciata di Adamo dal Paradiso, intraprendevano il cammino verso il deserto per proseguire la Quaresima in preghiera continua e ascesi perfetta. Solo il Sabato Santo tornavano al monastero per gioire tutti insieme della Resurrezione.

Come i monaci di un tempo, anche noi tutti abbiamo intrapreso il cammino della ritirata dal turbinìo del mondo nella camera segreta dell’anima, per incontrarci oggi con i frutti dell’ascesi e della lotta spirituale attraverso la penitenza interiore, ma anche mediante l’umiltà attiva.

San Nikolaj Velimirovič ci insegna, fin dall’inizio, come acquisire questa virtù salvifica della penitenza, tanto praticata da Santa Maria Egiziaca nella sua vita: “La vera penitenza non significa solo pentirsi dei peccati commessi, ma convertire completamente l’anima dal buio alla luce, dalla terra al cielo, da sé a Dio.

L’abbraccio del dolore

La Domenica in cui ci troviamo oggi, la seconda della serie delle domeniche ascetiche, dedicata a Santa Maria Egiziaca, ci chiama e ci insegna la lotta con il piacere, attraverso l’abbraccio del dolore più profondo possibile, plasmato dal pentimento.

Il messaggio rivelatore che ci viene posto davanti è proprio la crocifissione del corpo e dei desideri affinché in noi possa nascere una vita diversa, una vita dello spirito, una vita divina, ma che non può sorgere in noi se non mediante la cessazione dei desideri incontrollati del corpo nella vita che tutti conosciamo – la vita legata ai piaceri, ma anche ai dolori, alle sofferenze, alle malattie, che tutti conducono solo in un’unica direzione infelice: la morte.

Il Mistero della Croce, che brilla come una stella su tutto il percorso della Grande Quaresima, affinché non ci smarriamo nel nostro faticoso cammino, ma vedendola come un faro che brilla costantemente sappiamo in quale direzione dirigere il timone della nostra nave spirituale, tra le acque di questo periodo di lotta, tra le domeniche legate alla fede (dogmatiche) e quelle legate alla lotta spirituale (ascetiche).

Domenica scorsa abbiamo visto San Giovanni Climaco assumere l’immagine del Nuovo Adamo, seguendo l’icona di Cristo, portando il sigillo spirituale, come un uomo veramente perfetto, “nella misura che conviene alla pine amaturità di Cristo” (Efesini 4, 13) – che combatte con le passioni e sale i gradini delle virtù sulla scala del Paradiso.

Nella domenica di oggi, ci viene presentata l’immagine di quella che è passata dal peccato alla virtù, dalla caduta alla santità, dalla terra al cielo, seguendo l’icona della Nuova Eva, la Madre di Dio, in una santità perfetta, difficile da immaginare e credere per l’uomo dei nostri giorni.

Proseguiamo il cammino insieme al Santa Maria Egiziaca, una grande penitente, ma allo stesso tempo, nel passato, una grande peccatrice, per capire che anche oggi è possibile elevarsi dall’abisso del peccato alle vette della santità, essendo rafforzati dalla grazia divina.

La quinta settimana della Grande Quaresima, che oggi termina, è stata contrassegnata da due momenti importanti, dalle due Veglie (i mattutini celebrati al tramonto, per indicare che proprio al sorgere della prima stella, cerchiamo la via del pentimento, alla fine del giorno – un nuovo inizio, un ribaltamento dei poli), che ci hanno mostrato due icone di santità: Santa Maria Egiziaca (veglia di mercoledì sera) e la Madre di Dio (veglia di venerdì sera).

Queste due icone di santità ci mostrano il modo in cui Dio opera la salvezza, non solo con (e attraverso) la Madre di Dio, che si mostra completamente pura e benedetta, al di sopra dei cherubini e dei serafini e di tutte le potenze angeliche, ma anche con (e attraverso) Maria Egiziaca – questa anima che si è volontariamente sottomessa alle passioni e ai desideri carnali, che da sempre dominano il mondo fino ad oggi.

Per questo motivo, i Padri della Chiesa hanno inserito in questa settimana, prima della quinta Domenica della Grande Quaresima, il Canone di Sant’Andrea di Creta, che viene letto integralmente, ricordandoci tutti i vari peccati in cui possiamo cadere, ma anche la moltitudine di coloro che sono stati liberati da essi, mediante il pentimento e la grande misericordia di Dio.

Chi era Maria Egiziaca (344-422)

Una giovane ragazza, che a soli 12 anni, si allontana dalla famiglia e dai genitori, per andare ad Alessandria d’Egitto, dove trascorrerà 17 anni nelle passioni carnali, donando il proprio corpo al peccato, non tanto per denaro, come racconta la sua vita, ma per un piacere folle.

Dopo quegli anni dolorosi trascorsi ad Alessandria, parte in nave, accompagnando un gruppo di uomini, alla volta di Gerusalemme, per adorare il legno della Santa Croce, ma tentando di entrare per tre volte in chiesa viene fermata da una potenza invisibile.

Pregando la Madre di Dio, riceve però la forza (e la benedizione) di entrare in chiesa per adorare il legno della Santa Croce. Ma le viene posta innanzi un’unica condizione che significherà tutto: l’adorazione del legno della Santa Croce dovrà significare il cambiamento radicale della condizione fino ad allora esistente.

Accade così che, dopo aver adorato la Croce vivificante, Maria Egiziaca, all’età di trent’anni, esce dalla chiesa del Santo Sepolcro e va oltre il Giordano, dove condurrà, per quarantasette anni, una vita di ascetismo e rinuncia, vivendo in una disciplina di sé per noi inimmaginabile.

Dopo quarantasette anni di stenti oltre ogni ragione, la venerabile incontra, provvidenzialmente, colui che fu testimone di questo miracolo divino: il monaco Zosima, dal quale il racconto della vita di Maria Egiziaca fu trasmessa oralmente ai monaci della Palestina, per poi essere messo per iscritto dal patriarca Sofronio di Gerusalemme.

Dall’inferno alla vita, attraverso i dolori del pentimento

Maria Egiziaca racconta a Zosima che i primi diciassette anni trascorsi nel deserto furono un vero inferno. Perché per diciassette anni fu tormentata, con dolori inimmaginabili, dallo spirito della dissolutezza carnale. Allo stesso tempo, si scopre una simmetria mistica, i diciassette anni di vita trascorsi nel peccato ad Alessandria, vengono riscattati con diciassette anni di tormento e di lotta ascetica nel deserto del Giordano.

Dopo diciassette anni di ascesi, Maria Egiziaca trova la quiete dell’anima, scopre il suo essere più profondo (costruito ad immagine della nuova Eva), i trent’anni che seguiranno, significheranno una vita nuova, una vita veramente spirituale per la venerabile Maria, tanto che il monaco Zosima, vedendola, fu colto da un profondo brivido.

Quando i due santi si incontrarono nel deserto del Giordano, Zosima le chiese di pregare per lui e per il mondo intero (e quanto è importante che lo facciamo anche noi!) – Maria stando in piedi, alzò le braccia e le allontanò nel segno della Santa Croce, cominciando a pregare. Con gli occhi bassi, osando guardare un po’ la santa, Zosima la vide sollevata di un cubito da terra.

È questo il momento in cui si rivela il segreto di ciò che viviamo in quest’ultima domenica di Quaresima – Zosima si rese conto che lui, essendo monaco da cinquantacinque anni – non si avvicinava nemmeno alla misura di questa grande venerabile donna, che era stata una grande peccatrice.

Il cambiamento verso la santità avviene perché la santa ha compreso il mistero della Croce, attraverso la quale è diventata da grande peccatrice una grande santa. Questa sorprendente e straordinaria trasformazione è possibile solo attraverso la fede e mediante la potenza della Santa Croce, che è il cambiamento della vita dei cristiani. Colei che ha imparato ad abbracciare il dolore della Croce, con il cui segno si è avviata anche nel deserto del Giordano, ha saputo cambiare veramente la sua natura più profonda, lasciandosi sigillare dalla grazia divina.

La misura della connessione con l’eternità è il pentimento

Chiunque si pente è e sarà veramente salvato, questo ci mostra la vita della santa. Tutto ciò che viene preso in carico è veramente perdonato dal Signore. Chiunque viene avvolto nella preghiera fa scaturire grazia risanatrice. Tutto ciò di cui i nostri antenati non si sono pentiti, noi possiamo pentircene, e questo è ciò che ha fatto Maria Egiziaca: dopo 17 anni di penitenza per i propri peccati, ne ha trascorsi altri 30 in preghiera per il mondo, un mondo che continua a vivere (ancora oggi) nel peccato e nel dolore.

Nel pentimento della Pia Maria furono compresi tutti coloro che vivevano nell’ignoranza, nell’impotenza e nella caduta. Questa è una cosa grandiosa e meravigliosa. I santi cambiano il nostro mondo attraverso il loro pentimento. L’uomo che ama l’Uomo e il mondo intero può riscrivere insieme a Dio la storia del mondo intero.

Ognuno di noi può diventare un santo sconosciuto che ha cambiato e cambia ogni giorno il mondo: aiutami, Signore, a cambiarlo cambiando me stesso, attraverso il pentimento. Attraverso il pentimento personale, invisibile, interiore, ognuno di noi può cambiare la storia dell’universo intero, il “destino” di ogni essere umano, proprio come ha fatto Maria Egiziaca – non solo con Zosima, colui che fu travolto dalla grazia, ma con tutti coloro che oggi ne ascoltano la vita e sperimentano una conversione.

Quanto è incoraggiante sapere che possiamo cambiare il passato. E con esso possiamo cambiare il presente, ma anche il futuro. Il passato è sempre presente in noi, è vivo. E più ci pentiamo, più le sue ombre si cancellano, lasciandoci abbracciare dalla luce della Risurrezione, che apre la strada al futuro, dove troviamo veramente il Regno dei Cieli.

“Puoi tu bere il calice che io bevo, oppure essere battezzato con il battesimo con cui io sono battezzato?” (Marco 10:37)

Sia l’Apostolo (Ebrei 9,11-14) che il Vangelo (Mc 10,32-45) che oggi ci accompagnano nel cammino, parlano del mistero della passione e del sacrificio di Cristo, il quale mediante lo Spirito eterno offrì se stesso puro di ogni colpa a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente! (Ebr. 9, 14), annunciando ai suoi discepoli per la terza e ultima volta, la sua passione, morte e risurrezione nel terzo giorno – “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, 34 lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà (Mc 10,33-34).

I tre annunci della passione hanno una grande importanza spirituale, perché in essi si rivela la volontà del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Tutte le nazioni saranno salvate attraverso il sacrificio del Salvatore, che è inseparabile dalla Santissima Trinità.

Il terzo annuncio della passione ha un collegamento diretto con la Risurrezione, che si avvicina e viene raccontata da tutti e tre i Vangeli sinottici. Il sacrificio del Signore si mostra volontario: Cristo si affretta a salvare l’uomo, ma gli apostoli erano stupiti e quelli che lo seguivano avevano paura (Mc 10, 32), perché aveva già annunciato loro, per due volte, la sua morte e resurrezione. L’uomo, però, rimane sempre nel dolore (il veleno della morte da cui solo il misterioso sangue del Calice ci libererà), difficilmente potendo sperimentare la Resurrezione (che sembra così lontana anche oggi).

La richiesta dei figli di Zebedeo

Al primo e al secondo annuncio della sua passione e morte, gli Apostoli restano pensierosi, in esitazione, Pietro è l’unico che reagisce, addirittura rimprovera il Signore, questa volta, però, il pensiero dei discepoli si rivolge, sorprendentemente, a un primato, al Regno che aspettavano qui sulla terra, anche in quei giorni.

La tentazione del primato nella relazione con il Signore è rimasta attuale fino ad oggi, a tutti i livelli, sia quello della Chiesa, sia quello del sociale e dello Stato. Il Signore annuncia la sua passione e morte, e i suoi apostoli discutono sul posto a destra e a sinistra. Ma il Signore annuncia il Regno (atteso) dalla Croce – chi sa assaporare l’amarezza della Croce, e nella misura in cui lo farà, potrà assaporare anche la benedizione della gloria per essere prossimo a Colui che è il Re della Gloria.

Il Salvatore approfitterà della domanda della madre, ma anche dei figli di Zebedeo – “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo” (Mc 10,35), per proporre un insegnamento spirituale che sarà a fondamento del cristianesimo.

Il Signore ribalta i valori della Chiesa, rispetto a quelli del mondo, perché se nel mondo “coloro che si ritengono capi delle nazioni le governano e i loro più grandi le guidano” (Mc 10,42), allora, nella Chiesa, coloro che vogliono seguire Cristo, devono fare esattamente il contrario: “chi vorrà essere grande tra voi, sarà vostro servitore” (Mc 10,43).

La vera gioia e la vera grandezza si trovano nel servire e non nell’essere serviti. Il vero primato è porsi volontariamente al di sotto di tutti gli altri.

Essere veramente grandi è imparare a servire gli altri e non a essere serviti: questo è il fondamento del cristianesimo che ha (anche) conquistato il mondo. Essere veramente il primo significa avere la debolezza di essere veramente buono, gentile e misericordioso in tutte le cose.

Essere veramente ricchi significa imparare ad essere poveri volentieri per il prossimo: “privarsi del pane di cui il nostro prossimo povero ha fame”, come ci insegna san Serafino di Sarov.

Essere veramente i primi, significa prendere volentieri il posto degli ultimi, per essere certi che nessuno andrà mai perduto, ma tutti saranno davanti a noi nel cammino verso il Regno.

Cristo ci mostra qui il mistero attraverso il quale Dio opera nel mondo, attraverso le parole del Santo Apostolo Paolo, che dice: “Io stesso, Paolo, vi esorto per la mitezza e l’indulgenza di Cristo, io che ora sono umiliato in mezzo a voi(1 Cor. 10, 1).

Dal dolore della Croce alla gioia della guarigione

La vita cristiana ci presenta sempre un paradosso, l’unica via per la guarigione interiore, per raggiungere la tranquillità, la gioia, la pace e la stabilità spirituale – anche per essere leader, non è quindi richiesto l’isolamento dagli altri, scappare dalla Croce e dal dolore, ma l’esatto contrario: comunione con il dolore del prossimo, empatia e compartecipazione con ogni anima disperata. Tanto amo quanto posso perdonare il mio prossimo! La misura dell’amore indefettibile è la misura del perdono e del pentimento. Più perdono e amo, più mi avvicinerò al Signore.

Lasciamo che le lacrime del prossimo diventino le nostre lacrime e che la gioia del nostro prossimo diventi la nostra gioia. Ciò significa abbracciare il dolore dell’altro. San Barsanufio il Grande diceva che “il prossimo è come uno specchio in cui vedo sempre le mie debolezze” – in verità, tutto il male che è in me si riflette nel prossimo, dal quale fuggo sempre. Scappare significa acuire il dolore che non può andare via. Abbracciare il dolore del prossimo – la Croce – si rivela l’unica e vera via di guarigione e di salvezza, per ogni persona e per il suo prossimo.

Il Cammino dell’Uomo – L’Abbraccio della Croce – La Gioia del Cielo

Oggi abbiamo imparato, dalla vita della venerabile Maria Egiziaca, la forza della fede e del pentimento. Dal Vangelo di Marco, nel quale abbiamo incontrato la richiesta dei figli di Zebedeo, abbiamo realmente imparato la forza dell’umiltà, che il Salvatore ci pone davanti come condizione necessaria per essere delle guide. Tutto ciò ci mostra e svela la potenza della Santa Croce e della conversione interiore, la potenza dell’assunzione di una vita nuova, attraverso la quale riusciamo a vivere oltre il corpo, nello Spirito Santo.

Questa vita nuova alla quale siamo chiamati è quella in cui viviamo, fin da ora, sulla terra, il mistero della vera vita che procede dalla Risurrezione.

Da oggi entriamo anche nell’ultima settimana dei 40 giorni, con l’icona di una santa che ha sperimentato l’apice del pentimento, in un certo senso una nuova Eva, che attraverso la conversione ha indossato anche la Croce, volto perfetto dell’icona della Madre di Dio.

Se Eva fin dal principio, per il desiderio del piacere, per la concupiscenza del gusto e per la disobbedienza, attirò lontano da Dio tutto il mondo, oggi Maria Egiziaca è colei che ci mostra una Donna nuova, una creatura (ri)nata attraverso il pentimento, che ha abbracciato il mistero della Croce come nessun altro ha saputo farlo.

Breve è il cammino che ci resta, forti dell’umiltà mostrata dal Signore, del pentimento mostrato da Maria Egiziaca, della potenza della Croce che siamo chiamati ad abbracciare, per avvicinarci al sabato di Lazzaro – una risurrezione prima della Risurrezione, che ci affiderà il grande mistero della Pasqua del nostro Signore Gesù Cristo.

Rivestendo oggi la veste mite dell’umiltà, rivestendo il cuore del pentimento vivificante, diventando degni servitori di tutti, aspettando con gioia il mistero della Risurrezione, con i fratelli in cammino con noi nella Quaresima, osiamo gridare, a gran voce:

„È vicino il Salvatore, colui che ha piantato la vite e ha chiamato gli operai; venite, bisognosi di digiuno, godiamoci il compenso, perché ricco e misericordioso è il donatore. Lavorando un po’ otterremo la misericordia per l’anima”.

(Stichira 4, Triodion, Lunedì della quinta settimana della Santa e Grande Quaresima)

† Atanasie di Bogdania