La risurrezione di Gesù Cristo | Il conforto e la speranza senza fine Santa Pasqua

Vangelo secondo Giovanni 1, 1-17

San Simeone il Nuovo Teologo dice, in modo profondo, che “in ognuno di noi credenti avviene la risurrezione di Cristo, e questo non una volta sola, ma in ogni momento” – la risurrezione è viva ed è per l’eternità, vivendola, nessuno e niente può separarci dall’amore di Dio. Né l’angoscia, né la pressione esteriore che tanto affligge il mondo di oggi, né il dolore, né la persecuzione, né l’angoscia interiore, né la fame, né la sete, né la sofferenza (anche la più profonda), né l’odio del prossimo, né la guerra che non cessa, perché “in tutte queste cose siamo più che vincitori per mezzo di colui che ci ha amati” (Rm 8,37).

L’apostolo Paolo osa equiparare l’amore alla risurrezione, e in effetti è così, perché nulla “potrà separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,39), che con la sua morte schiaccia la nostra morte per l’eternità.

Alla luce di questo amore, che si mostra vittorioso (anche se noi lo abbiamo crocifisso), il turbine del mondo si placa e la pressione quotidiana cessa, la rincorsa a ciò che è esteriore si estingue  e l’anima turbata e oppressa assapora la pace e la tranquillità, perché Colui che abbiamo  seguito nella sua sofferenza volontaria, nella crocifissione e nella morte sulla Croce della vittoria, è risorto oggi dal sepolcro.

Colui che ha portato la nostra natura umana, modellata fin dall’inizio nel mistero dell’amore, liberandola dal gusto peccaminoso di morte,  sofferenza,  dolore e amara necessità, la innalza per renderci partecipi della sua purezza, del suo riposo e della sua vita eterna.

Cristo Signore scende negli abissi più bassi della nostra esistenza, nelle profondità della nostra sofferenza, per purificarci dalla macchia del peccato e per portare la speranza del perdono a ogni anima scoraggiata e addolorata attraverso la sua risurrezione.

Quanto è bello che San Giovanni Crisostomo abbia detto che il Signore è sceso e ha saccheggiato l’inferno, liberando le anime di tutti i giusti dalla mano del nemico, che pensava che nulla potesse veramente redimere la vita – “che la redenzione dell’anima è troppo costosa e non può mai essere fatta” (Sal 48,8).

San Cirillo di Alessandria dice così profondamente che “come il ferro, a contatto con il fuoco, prende il suo colore, così il corpo [in altre parole la creazione], dopo aver ricevuto in esso il Verbo di Dio, viene liberato dalla corruzione. Così [Cristo] ha rinnovato la nostra carne per liberarla dalla morte.

Siamo chiamati misticamente a non temere più la morte, perché il Signore ci ha liberati dalla morte, proprio con la sua morte. La paura è la debolezza più grande che ci portiamo dietro per tutta la vita, come gli apostoli, travolti dalle onde del mare (di questa vita), ma anche chiusi in un ovile  per la paura dei Giudei – una paura più grande della fede.

Il Signore vive la nostra paura e la nostra angoscia sulla croce, proprio per liberarci da ogni paura in questo mondo. Come ci dice magnificamente San Giovanni Crisostomo: “Nessuno tema più la morte, perché la morte del Salvatore ce ne ha liberati , l’ha estinta, Lui che  da essa è stato trattenuto”.

Il grande mistero è che il Signore si fa partecipe di tutti i dolori che sopportiamo nella vita, per liberarci da essi, e soprattutto dalla paura della morte, che oggi è vinta per sempre, tanto che Cristo viene nel mondo proprio per questo, “affinché con la sua morte vincesse colui che ha il potere della morte, cioè il diavolo, e liberasse coloro che il timore della morte aveva tenuto in schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,13-14).

Pasqua (Signore) – Pāsaḥ, in ebraico, significa “passare oltre”. Pesaḥ (da cui la parola Pasqua) commemora quindi un “passaggio”, il primo dei quali fu il passaggio dell’angelo del Signore sulle case degli ebrei in Egitto, unte del sangue protettivo dell’agnello pasquale, che si rivelerà essere la prefigurazione di Cristo – Il Signore passerà per colpire l’Egitto, vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti: allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire.(Esodo 12, 23)

Del simbolismo dell’agnello pasquale nella persona di Cristo ci parla anche il canone della Risurrezione (frutto dell’ alta  ispirazione di San Gregorio il Teologo): Come un agnello di un anno, l’Agnello da noi benedetto, Cristo, si è immolato volentieri per tutti,  Pasqua purificatrice; e di nuovo dal sepolcro risplendette splendidamente per noi,  Sole di giustizia”.

Cristo è la Pasqua perenne, alla quale siamo chiamati a comunicarci   in verità ad ogni Risurrezione, seguendo le parole del Santo Apostolo Paolo, che ci esorta a “purificare il nostro lievito vecchio, per essere lievito nuovo, perché  siete azzimi; perché la nostra Pasqua, Cristo,  si è sacrificata per noi (I Cor. 5:7).

La Santa Eucaristia è quindi la vera ed eterna Pasqua della Chiesa, “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv. 1:29) – come l’agnello con il cui sangue gli israeliti  salvarono la loro vita nella notte della liberazione dall’Egitto. Ecco perché anche il Canone della Risurrezione ci esorta:

Venite a bere una bevanda nuova, non di pietra arida, fatta da miracoli, ma della fonte dell’incorruttibilità, che sgorga dal sepolcro di Cristo, nel quale siamo rafforzati” (Canto 3);

Venite al nuovo frutto della vite, alla gioia divina, nel giorno della risurrezione, del regno di Cristo prendiamo parte, lodandolo come Dio nei secoli” (Canto 8);

“O Pasqua grande e santissima ,  Cristo! O Sapienza e Parola di Dio e Potenza. Concedi a noi di entrare in comunione con Te, in verità, nel giorno  straordinario del tuo regno” (Canto 9).

Il secondo passaggio mistico sarà quello del popolo d’Israele attraverso il  Mar Rosso, analogo al nostro passaggio alla vita eterna – “che dalla morte alla vita e dalla terra al cielo Cristo Dio ha fatto passare noi, che cantiamo canti di vittoria”.

Cristo, ancora oggi, non smette di mostrarsi vivo, passando attraverso le nostre esistenze  e i nostri dolori, attraverso la nostra impotenza e la nostra ricerca, attraverso la nostra croce e la nostra sofferenza. È Lui che ci accompagna nei momenti di difficoltà, è Lui che sta al capezzale dei malati e accanto alle sbarre di chi è imprigionato nelle profonde prigioni del cuore, è Lui che si siede a tavola con noi (e quanto vorremmo che venisse a sedersi!). È Colui che asciuga anche l’ultima lacrima dal volto di chi è addolorato e oppresso, è Colui che è sempre con noi – è Colui che è. Si unisce a tutti noi in tutto e si fa tutto a ciascuno di noi, proprio perché possiamo gustare la sua risurrezione per l’eternità.

Per noi che celebriamo la Pasqua mistica, il giorno della Risurrezione diventa il primo ma anche il giorno straordinario  del Regno dei Cieli, che apre la strada alla vita eterna e alla salvezza –  rinnovamento dell’umanità e di tutta la creazione. Una nuova  creazione dal mistero della Croce,   del dolore,  della morte e della sofferenza che il Signore assapora, affinché non ci lasciamo più ingannare dall’avversario: “Questo è il giorno che il Signore ha fatto, rallegriamoci ed esultiamo in esso” (Sal 117,24).

L’ottava  ode del Canone della Risurrezione ci dice anche che “questo giorno eletto  e santo, il primo della settimana, o Imperatrice  e Signora, festa delle feste, è anche la festa delle feste, in cui benediciamo Cristo nei secoli ”.

È anche il giorno in cui siamo chiamati “a illuminarci  a festa, e ad abbracciarci l’un l’altro. Chiamiamo fratelli anche coloro che ci odiano; perdoniamo  tutto per via della Risurrezione. E così gridiamo: Cristo è risorto dai morti, con la morte, la morte calpestando e a quanti nei sepolcri vita donando ”.

Il giorno della Risurrezione è oggi la prima pietra di un mondo nuovo, un mondo in cui il primogenito (dai morti) si rivela essere Cristo stesso – il Nuovo Adamo, l’uomo perfetto, la cui immagine siamo chiamati a ripristinare per tutta la vita nel profondo del nostro cuore.

Padre  Rafail Noica ha detto da qualche parte: la festa della Risurrezione è l’inizio della nostra fede, ma solo più tardi ci rendiamo conto di cosa significhi veramente. Quella  stessa cosa viviamo anche noi di anno in  anno,  quell’andare in chiesa da bambini per la prima volta in occasione della Risurrezione e quel rivestirsi   di gioia naturale mentre si rompe un uovo rosso con gli altri bambini, dicendo: Cristo è risorto!

Tutta la gioia della Festa sta nel mistero dell’uovo rosso che non vedi l’ora di  battere con gli altri e dire: Cristo è risorto! Lì credo c sia l’inizio, che però già rivela il mistero della nostra fede. E questa fede, fin dall’inizio, matura e si perfeziona con il passare degli anni e l’allargarsi del nostro cuore.

Tutti abbiamo sentito, allora, nell’infanzia, nella semplicità del cuore di un bambino, il miracolo di quella notte piena di luce ricevuta a lume di candela dal sacerdote e passata come per miracolo nei nostri cuori. Ecco il mistero dei misteri: come la luce si accende nel cuore. Solo più tardi capiremo che il desiderio di eternità dell’uomo è ora soddisfatto dalla luce della candela accesa dal sacerdote che proclama la Risurrezione nel luogo in cui un tempo si trovava l’angelo.

La luce della Risurrezione, una volta entrata nei nostri cuori, invece di spegnersi, arde sempre più luminosa, illuminando altre e altre luci, altri e altri cuori. Solo più tardi ci rendiamo conto che qui sta il mistero della nostra fede: dobbiamo accendere la prima luce, la prima candela! Avere il coraggio di accenderla, anche se le tempeste della vita ci scoraggiano, sciamando da tutte le direzioni.

E anche una parrocchia, una comunità benedetta da Dio, parte (sempre) dalla Risurrezione, da una candela, da una preghiera, dal mistero – Cristo è risorto! Senza questo  non  può esserci né comunità né comunione.

L’amore di vivere in Cristo,  nella Liturgia e  nel servizio missionario, un amore che ha conquistato anche noi, che abbiamo seguito la chiamata quando meno ce lo aspettavamo, o quando non ce lo aspettavamo affatto, è il più potente e l’unico, in realtà, che ci dà la fede per procedere  nel cammino della vita verso la Vita.

È l’amore che ci ha tirato fuori dalla  deriva dell’anima, da un peso o da una prova, e ci ha messi davanti a Colui che è la Risurrezione e la Vita, che ci dà la forza di abbracciare la croce quotidiana“perché ecco, la gioia è venuta a tutti per mezzo della croce”. L’amore che edifica, l’amore che dà forza, l’amore che perdona, l’amore che dà vita, l’amore che porta quella gioia che nessuno può toglierci.

Ogni epoca ha il suo modo di amare e di dare. Finché amiamo e ci doniamo, il Signore accresce  la luce nel mondo, nei popoli, nelle nazioni, di generazione in generazione, per comprendere il mistero della Risurrezione, e questo non una volta, ma in ogni momento.

Così ha detto il provvidenziale Olivier Clément:

“Certo, invecchiamo, siamo spesso stanchi, malati, deboli. Questo è il destino dell’uomo esteriore. Ma l’uomo interiore, l’uomo pasquale, freme dentro di noi come una farfalla nella sua crisalide. Il nostro cuore si protende verso la gioia pasquale, che a volte brucia dentro di noi come quella degli apostoli sulla strada di Emmaus – questo è il seme del nostro corpo nella gloria.

Quanto alla morte, nostra o per noi ancora più difficile da immaginare, di coloro che amiamo, la raffiguriamo, con umile fiducia, come se si fosse trasformata d’ora in poi in un passaggio, in una via di risurrezione. “Ieri”, diciamo nel Mattutino di Pasqua, “sono stato sepolto con te, o Cristo. Ieri mi sono crocifisso con te. Ora, o Salvatore, glorificami nel tuo Regno.

Cristo è risorto! E ci ha donato la vita eterna e la grande misericordia!

† Atanasie di Bogdania