6ª domenica di Quaresima (Domenica delle Palme) – L’ingresso solenne del Signore a Gerusalemme

Il mistero della vittoria rispecchiato nella passione

Vangelo secondo Giovanni 12, 1-18

“Seduto sul puledro, o Cristo, quando sei venuto alla passione, hai ricevuto dai bambini senza malizia canti di vittoria. Tu che sei lodato dagli angeli con il canto del trisagio” (Stichira, Domenica delle Palme)

La Santa Festa dell’Ingresso solenne del Signore a Gerusalemme, alla quale oggi partecipiamo misticamente, apre le porte della gioia, ma allo stesso tempo divide le acque tra la vittoria mostrata dal Salvatore e il cammino del digiuno benedetto del pianto, questa volta con e il Signore e solo per lui, mentre entriamo nella Grande Settimana della Santa Passione.

La Grande Quaresima, che abbiamo percorso fino a questo punto, è stata dedicata alla nostra sofferenza e crocifissione, al pianto per le nostre mancanze ma anche per le nostre cadute, per concludersi infine con la vittoria sulla morte – la risurrezione di Lazzaro (la risurrezione dell’uomo) – festa nella festa, inseparabile dalla Domenica delle Palme. La Settimana Santa, suggellata dalla Passione del Signore, aprirà la strada alla Risurrezione di Cristo – vittoria delle vittorie, la più grande festa del cristianesimo.

L’ingresso del Salvatore a Gerusalemme è raccontato nel Nuovo Testamento da tutti i Santi Evangelisti: Matteo (21,1-11), Marco (11,1-11), Luca (19,29-38) e Giovanni (12,12-18). Il Vangelo che leggiamo oggi, tratto da Giovanni, l’Apostolo dell’Amore, ci dice profondamente:Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza. Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno (Gv 12, 17-18).

Il mistero della vittoria – le palme della fede

La festa di oggi è una festa di gioia, in cui siamo chiamati a portare davanti al Signore tutte le nostre buone azioni, che abbiamo raccolto in 40 giorni di digiuno, come il popolo che portò rami di abete quando il Salvatore vittorioso entrò a Gerusalemme.

Come i monaci di un tempo tornavano per questa festa ai monasteri (si veda la vita di Santa Maria Egiziaca), dopo aver faticato e vagato per 40 giorni nell’arduo deserto (del digiuno), portando le virtù accumulate come alti rami graditi al Signore, così anche noi siamo chiamati a portare tutte le opere buone e gradite a Cristo, da presentare come un’offerta pura e spiritualmente profumata.

L’unzione di Betania: l’amore di una donna unisce cielo e terra

Tra la risurrezione di Lazzaro, che abbiamo celebrato ieri, e la Domenica delle Palme, che celebriamo oggi, si nasconde anche la misteriosa unzione del Salvatore a Betania da parte di Maria, sorella di Marta. In questo mistero si nasconde l’amore di tutto il genere umano per colui che porterà la croce dei nostri pesanti peccati sul Calvario, per vincere la morte con la sua risurrezione il terzo giorno.

Questo passo, che si trova nel Vangelo di Giovanni (12,1-8), in Matteo (26,6-13) e in Marco (14,3-9), viene letto durante la Settimana Santa nella Liturgia dei Doni presantificati il Mercoledì Santo (lettura di Matteo), all’entrata del Signore a Gerusalemme (lettura di Giovanni) e il Giovedì Santo durante l’Ultima Cena (sempre di Matteo).

Durante la cena dopo la resurrezione di Lazzaro (una prefigurazione della cena eucaristica dopo il battesimo, nuova nascita attraverso la resurrezione), avviene l’unzione del Cristo Salvatore da parte di Maria, l’amorevole sorella di Lazzaro, con mirra di nardo di gran prezzo.

Il gesto in sé, che poteva essere compiuto solo da una donna (e da una donna che ama veramente), è quello di un amore difficilmente immaginabile, che unisce il Cielo e la Terra in modo mistico, perché la fragranza di quella mirra di nardo puro ricoprì prima la testa di Colui che doveva entrare nel sepolcro (il Cielo sopra i cieli) e poi i piedi che dovevano essere inchiodati alla croce (la Terra, su cui riposa il Signore Sabaoth).

Accanto a questa unzione funebre – Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura (Gv. 12,7) – c’è anche una misteriosa teofania: Cristo si rivela a noi come re, poiché il re veniva unto al momento della sua intronizzazione, ma anche come sommo sacerdote in eterno, così come i sacerdoti del Tempio venivano unti al momento della loro ordinazione.

Il gesto di Maria non è solo rivestito dell’abito dell’amore e della carità (il mistero della donna), ma è anche un gesto di ricompensa spirituale per il miracolo della risurrezione di Lazzaro dai morti, e un gesto profetico – Maria ha anticipato la sofferenza, la crocifissione, la morte e la risurrezione di Colui che è amore perfetto. Qui si nasconde il mistero dell’unzione nella scoperta del martirio – Colui che riceverà la morte per la nostra vita.

L’unzione di Betania, che anticipa la deposizione nel sepolcro del Salvatore, è anche una prefigurazione del Santo Antimensio – quel telo benedetto, altare santificato, su cui si celebra la Divina Liturgia in ogni luogo, – sarà anche il memoriale dell’amore profondo, fino alla morte, della donna che salva l’onore del genere umano.

Giuda, amante del denaro, fa il calcolo matematico dello “spreco” Perché quest’olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?. (Gv. 12, 5), i discepoli passano infatti accanto al mistero senza notarlo, ma la donna è l’unica che vede oltre le apparenze, l’unica che ha veramente compreso il miracolo della risurrezione, l’unica che può dare amore come nessun altro può, lei, Maria – “l’amante della luce”.

Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento (Gv. 12, 3).

Il profumo della mirra simboleggia la presenza dello Spirito Santola Trinità sarà indivisa, non solo in quella cena sigillata dal mistero, ma anche in quella sofferenza difficile da immaginare. Il capo è il primo su cui viene versato l’unguento benedetto, perché Cristo è il Capo della Chiesa, poi vengono unti i piedi, quelle membra benedette (tutti noi che siamo stati battezzati nel mistero della morte e della risurrezione) – saranno inchiodati alla croce, ma prima saranno lavati dalle lacrime di Maria.

Nella tradizione ebraica, un servo lavava i piedi degli ospiti con acqua (spesso profumata) e oggi Maria – “la serva del Signore” – versa sui piedi di Cristo la preziosa mirra di nardo, perché questi piedi inchiodati al legno della vita ci ricondurranno al Paradiso perduto.

L’unzione di Betania è una vera Teofania ed è l’amore che rivela Dio. L’amore nascosto nel cuore della donna è il mistero dell’umanità che rivela Cristo – “Perché dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21).

L’amore è libero e gratuito, Maria ha potuto entrare (e vivere) nel mistero d’amore che ha salvato l’onore del genere umano, proprio come faranno le donne portatrici di mirra nel giorno della risurrezione, perché era libera in tutto e non condizionata da nulla. La ricchezza, purtroppo, è sempre condizionata e spezza la libertà dell’uomo – da qui la caduta di Giuda, l’amante del denaro.

Signore salva (noi e il tuo mondo)!

Dopo l’unzione a Betania, nella casa di Maria e Marta, Cristo, Re della Gloria, entra a Gerusalemme come vero vincitore della morte, per mostrare a noi, accecati dal demonio, che egli è veramente Vita senza morte.

Quando i Giudei e la la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando:
Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore,
il re d’Israele!
”  (Gv. 12: 12-13).

La parola osana (in latino osanna, e in greco ὡσαννά, hōsanná) deriva dall’ebraico הושענא – Hoshana, che significa “salvare”. Questa parola si trova nel Salmo 117, 25-27: “ Dona, Signore, la tua salvezza, dona, Signore, la vittoria! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa del Signore; Dio, il Signore è nostra luce. Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell’altare. “.

La gioia dei Giudei quando videro il Salvatore entrare a Gerusalemme era giustificata dalla speranza che li avrebbe liberati dalla schiavitù romana, dal giogo della schiavitù, resi veramente liberi – salvati. Da qui l’esclamazione spontanea: “Osanna!” (Giovanni 12:13). Per i cristiani – Signore, salva – non è altro che il grido per l’eternità, il desiderio di essere liberati dal peccato, di ereditare il Regno dei Cieli.

Ecco cosa ci dice San Cirillo di Alessandria a proposito di questa esclamazione: “La folla non glorifica Gesù con il linguaggio comune, ma cita la Scrittura ispirata (Salmo 117, 26) che parlava molto bene di Lui. Confessando che era davvero il Re di Israele, lo chiamarono il loro Re e accettarono la signoria di Cristo.

L’inno della Domenica delle Palme è anche l’ispirazione dell’inno Sanctus, che si trova nelle anafore di tutte le Liturgie eucaristiche: “Santo, Santo, Santo, il Signore Sabaoth! Della tua gloria sono pieni i cieli e la terra. Osanna nel più alto dei cieli. Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nel più alto dei cieli”.

La prima parte dell’inno consiste in un canto dei serafini tratto dal libro del profeta Isaia, VI capitolo, che ha un profondo significato profetico trinitario. La seconda parte dell’inno è invece una ripresa delle parole di lode dei Giudei, che accolsero il Salvatore Cristo con rami di abete al suo ingresso a Gerusalemme.

Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi. (Lc 19,41-42).

In tutta la gioia dell’ingresso del Signore a Gerusalemme (tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio” – Lc. 19, 37), solo uno è triste e versa lacrime, il Salvatore, che guarda al di sopra della gioia di coloro che tra cinque giorni grideranno: “Crocifiggilo!”.

Noi che oggi portiamo alti rami di gioia, al crepuscolo della sera, al suono delle campane che annunciano le Veglie che bussano alle porte delle chiese, saremo chiamati a entrare nel digiuno eucaristico e penitenziale – un ingresso nella grande Liturgia del digiuno della Sacra Passione.

Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. ” (Zac. 9,9).

L’asina su cui il Salvatore entra a Gerusalemme rappresenta il popolo ebraico che aspettava il Messia, mentre il popolo che accoglie Cristo rappresenta i Gentili, che si convertiranno al cristianesimo, abbandonando l’erranza e il culto degli idoli.

San Giovanni Crisostomo dice anche che il puledro dell’asino è una rappresentazione mistica dei Gentili, perché viene portato al Salvatore dagli Apostoli, che convertiranno anche i Gentili al cristianesimo.

Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! ” (Sof 3, 14).

Cristo entrò a Gerusalemme attraverso la Porta d’Oro, che apriva la strada da Betania, da dove il Signore proveniva, passando per il Monte degli Ulivi, il luogo dove Cristo trascorreva il tempo in silenzio con i discepoli, insegnava al popolo e da dove sarebbe anche salito al cielo.

La Porta d’Oro apriva la strada verso la città di Gerusalemme, verso il Tempio, dal quale furono espulsi i venditori e i cambiavalute (racconti sinottici), mostrandoci che Cristo non è entrato in un semplice edificio (di cui profetizzerà anche la distruzione), ma nella Casa di Dio, realizzando lo scopo per cui era stata costruita: un luogo di santità e di preghiera, un luogo dove abita il Re della Gloria.

L’ingresso attraverso la Porta d’Oro mostra anche l’ingresso solenne del Re (Cristo – prefigurato da Melchisedec nel Libro della Genesi), che unisce le grandi porte della Città della Pace con il Tempio di Dio (il luogo di riposo dell’Onnipotente) – un’analogia con il Grande Ingresso della Divina Liturgia.

“In quel giorno si dirà a Gerusalemme: Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! (Sof 3,16).

La collocazione delle vesti sul sentiero su cui passò Cristo significa la nostalgia del Paradiso perduto e dell’eternità. L’anelito verso il luogo dove non c’è più la morte (vinta da Cristo), il tacito desiderio di rinunciare alla veste che ci ha privato delle cose terrene e della grazia salvifica (da qui l’osanna, quel grido di salvezza).

Se all’inizio Adamo ed Eva furono rivestiti di pelli dopo la loro espulsione dal cielo (Gen. 3, 21), è l’uomo che depone ora le sue vesti ai piedi di Cristo, che doveva rivestire i caduti, dopo la sua risurrezione, della veste della grazia perduta. Noi deponiamo ai piedi del Signore le vesti con cui abbiamo lasciato il cielo, per ricevere quelle che ci condurranno al Regno.

I rami tenuti in mano dal popolo significano le buone opere di umiltà e il riconoscimento della nostra umiltà davanti a Dio. Il digiuno, la preghiera, i buoni pensieri, il perdono e la riconciliazione, l’umiltà e l’amore senza limiti che abbiamo raccolto sono mostrati oggi dai rami di ulivo e di abete che teniamo in mano e che deponiamo ai piedi del Signore.

Il beato Agostino dice così splendidamente che “I rami di palma sono salmi di lode per la vittoria che nostro Signore riporterà sulla morte attraverso la Sua morte e, attraverso la vittoria della croce, per la Sua vittoria sul diavolo, re della morte”.

Re delle genti e Re d’Israele

L’espressione Imperatore (Re) d’Israele si trova nella profezia di Isaia (44:6) – “Così disse il Signore, il Re d’Israele e suo Redentore, il Signore degli eserciti: Io sono il primo e l’ultimo, e non c’è altro dio all’infuori di me”.

Ma il Signore è chiamato anche Re delle genti nella profezia di Geremia (10,7), cosa inimmaginabile per gli ebrei di allora: “Chi non ti teme, Re delle genti? A te solo è dovuto questo, perché tra tutti i sapienti delle nazioni e in tutti i loro regni non c’è nessuno come te”.

Nella preghiera di Zaccaria, letta durante i vespri del sabato sera, che proclama chiaramente la festa dell’ingresso del Signore a Gerusalemme, si dice anche: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.” (Zacc. 9,9).

Il mistero dell’icona

Il simbolismo dell’icona è molto ricco e ha preso in prestito elementi da tutti i Vangeli che raccontano l’ingresso mistico a Gerusalemme – la città santa, il luogo del sacrificio di Isacco da parte di Abramo su richiesta del Signore. La scena di questa festa è solitamente raffigurata nella navata delle chiese ortodosse.

A destra dell’icona si vede una città con le porte aperte (Gerusalemme e la Porta d’Oro). Dalla porta escono uomini, donne e bambini: “dalla bocca dei bambini e dei lattanti hai lodato i tuoi nemici, per far tacere il nemico e il vendicatore” (Sal 8,2).

Dall’altra parte dell’icona c’è un monte (il Monte degli Ulivi, in direzione di Betania, a cui è legata la sofferenza, l’altissima preghiera e l’Ascensione del Signore al cielo). Davanti alla montagna, verso il centro dell’icona, si trova il Salvatore, montato su un puledro d’asino.

L’albero sullo sfondo ricorda l’episodio della Quercia di Mamre (cfr. Gen. 18), quando Abramo incontra il Signore, che appare sotto forma di tre angeli. Il simbolo della montagna nell’icona evoca anche altri passaggi profetici dell’Antico Testamento: la rivelazione (teofania) sul Sinai e sull’Oreb e, nel Nuovo Testamento, la Trasfigurazione sul Tabor.

L’intera scena è una rivelazione scritturale, che abbraccia l’Antico e il Nuovo Testamento e che conduce in un’unica direzione: la rivelazione del Salvatore Cristo, che oggi entra vittorioso nella Gerusalemme celesteil compimento di ogni profezia.

Il Signore ha entrambi i piedi sullo stesso lato (sinistro), benedice umilmente la folla con la mano destra e nella mano sinistra tiene un rotolo, simbolo del Santo Vangelo che sarà proclamato a tutte le nazioni.

La città di Gerusalemme, alle cui porte Cristo si reca, ricorda la casa di Abramo (da qui la bella allusione alle teofanie scritturali), ogni casa più piccola simboleggia le dimore del Regno dei Cieli (dove abiteranno i beati, nel seno di Abramo) – “nella casa del Padre mio ci sono molte dimore. E se non fosse così, ve lo avrei detto. Vado a prepararvi un posto” (Gv. 14,2).

Dietro il Signore ci sono gli apostoli e i discepoli, guidati da San Pietro apostolo (senza aureola questa volta, la caduta doveva essere riscattata). Alla testa di coloro che salutano il Signore ci sono due uomini con rami di palma, mentre ai piedi di Cristo i bambini stendono le vesti (non hanno più bisogno delle vesti di questo mondo, perché seguono il Signore nel Regno di Grazia).

L’intera icona ha anche una forte dimensione escatologica, in quanto il Signore non si dirige solo verso la Gerusalemme che sarà distrutta dai Romani nel 70, ma anche verso la Gerusalemme storica, che intreccia tacitamente tutta la storia del popolo d’Israele (da Melchisedec a Cristo), che conduce alla Gerusalemme celeste, rivelata nel Libro dell’Apocalisse – la Nuova Gerusalemme.

L’ingresso di Cristo a Gerusalemme porta, nel complesso, l’impronta di una profonda umiltà. Il Signore entra nella città santa con gli animali più umili, in contrasto con l’immagine dei re vittoriosi nelle grandi battaglie della storia, che godevano di entrate trionfali. Il Signore viene accolto e onorato da coloro che sono puri di cuore, bambini nel corpo, ma anche nell’innocenza dell’anima. L’intera icona è piena di gioia e porta con sé un riposo spirituale, una pace profonda come quella dell’icona della Natività.-

Il Signore sale alla città santa di Gerusalemme piangendo di nuovo (la lacrima che l’uomo non ha saputo versare per il pentimento). Il giorno prima aveva pianto per Lazzaro, che amava tanto. Ora piange la città di Gerusalemme, perché anticipa che l’accoglienza odierna nella gloria sarà effimera e momentanea, dal momento che solo pochi giorni dopo abbraccerà la sua sofferenza e sarà crocifissa – “Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati; quante volte ho cercato di radunare i tuoi figli, come un uccello raduna i suoi piccoli sotto le ali, ma tu non l’hai fatto” (Mt 23,37).

Gerusalemme, che oggi apre la Porta d’Oro, rifiuterà Dio, firmando in quel momento la sentenza di condanna a morte (la sera del giorno in cui Cristo lascia Gerusalemme, già cala un’ombra di tristezza). Per questo, dalla prossima settimana, non digiuneremo più per noi stessi, né per coloro che amiamo, ma ognuno di noi, con (e per) Cristo, insieme a Lui, fino alla Croce, fino alla Resurrezione vittoriosa sulla morte.

Oggi concludiamo una festa che apre una settimana di duro digiuno, trovandoci tra la gioia e la sofferenza, tra la resurrezione di Lazzaro e la crocifissione e resurrezione del Signore, tra la dolcezza di Colui che umilmente entra nella città con i segni della vittoria, portando la speranza della vita eterna per i figli, e la tristezza, l’odio, la delusione di coloro che lo crocifiggeranno.

Con questi pensieri entriamo nella Settimana di Passione del Signore, stando con Lui nel pensiero e nella preghiera e nella sofferenza condivisa, in ognuno dei giorni a venire, per ricevere il beneficio spirituale che ciascuno di essi porta con sé. Solo così potremo raggiungere la pace e la tranquillità del Sabato Santo e del Grande Sabato, in attesa dell’annuncio della luce e della gioia della Risurrezione.

Che Colui che viene volentieri alla sua Passione, per la nostra salvezza, ci renda tutti partecipi della sua grazia confortante e vivificante negli ultimi passi che compiamo verso l’ascesa della Santa Risurrezione!-

Andando oggi incontro a Cristo con i rami delle virtù,

prepariamoci alla sofferenza con Colui che ci è stato rivelato,

e con i nostri fratelli cantiamo, pentiti:

“La tua camera, mio Salvatore, vedo adornata e non ho una veste per entrarvi. Illumina la veste della mia anima, o Datore di luce, e salvami”.

† Atanasie di Bogdania