10ª domenica dopo Pentecoste | La fede grande quanto un granello di senape
10ª domenica dopo Pentecoste | La fede grande quanto un granello di senape
La guarigione del lunatico
Vangelo secondo Matteo 17, 14-23
La mistica trasfigurazione del Salvatore ci apre la strada al Vangelo con cui oggi prosegue il nostro cammino, che non è altro che una prefigurazione della discesa agli inferi, dopo aver assaporato il massimo di questo mondo. Il Signore scende dal monte, dalla grazia della luce increata, alla realtà dell’umanità decaduta – da qui il dolore dell’incontro con l’infermità del popolo (generazione) infedele che ci viene mostrata attraverso il figlio lunatico che verrà guarito.
Dal cielo alla terra, dalle cose alte a quelle decadute, dalla luce e dalla grazia alle tenebre, fino alla malattia e all’impotenza: questo è il contrasto che la pericope del Vangelo di oggi ci pone davanti.
Dopo la guarigione del giovane posseduto dallo spirito maligno, avviene il secondo annuncio della passione: «mentre viaggiavano per la Galilea, Gesù disse loro: “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini. E lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà». Ed essi erano molto addolorati”. (Mt 17, 23). La grazia si intreccia, anche questa volta, con il mistero della sofferenza, perché solo così gli apostoli avranno la forza di credere nella risurrezione.
Così come Mosè, scendendo dal Monte Sinai, vedendo il popolo idolatra caduto nel peccato, rendendosi conto che la punizione per il peccato è la morte, sale una seconda volta sul Monte Sinai e si fa intercessore per il popolo – chiede di morire anche lui se il popolo non si salva – „e Mosè tornò dal Signore e disse: „O, Signore, questo popolo ha commesso un grande peccato facendosi un dio d’oro. Chiedi ora a me, se perdonerai loro questo peccato, perdonali; e se no, cancella anche me dal tuo libro in cui mi hai scritto” – così anche il Signore Cristo, scendendo dal monte Tabor, vede il popolo (la generazione) caduto nel peccato e, per salvarlo dalla morte, proclama una seconda volta la sua sofferenza, attraverso la quale ci porterà la nuova vita eterna.
L’uomo che osa con Dio riceve una risposta
Dio si rivela a noi con il soffio della grazia (come a Elia sul monte Oreb – “e dopo il fuoco ci sarà una brezza leggera di vento, e lì sarà il Signore” – III Re 19:12), che ci insegna ad amare e a portare pace e tranquillità al nostro prossimo. Da tutto questo, infatti, deriva la guarigione. La persona che soffre cerca di essere guarita attraverso l’amore, la tranquillità e la pace. Il padre di oggi, sofferente e dolorante per la malattia del figlio, cerca la guarigione in Cristo Signore – “se sei capace, aiutaci, abbi pietà di noi” (Mc 9,21). È proprio il dolore a guidarlo verso la redenzione e la guarigione.
Con i segni dell’incredulità e della sfiducia, perché i discepoli del Salvatore non sono riusciti a guarire suo figlio, il padre sofferente osa comunque. Cristo vede e (in un certo senso) riconosce questa mancanza di fede, dando alla folla uno dei rimproveri più severi del Vangelo. Tutti e tre i Sinottici lo raccontano, segnati dalla forza della parola: “O generazione infedele e ostinata, fino a quando sarò con voi? Fino a quandodovrò sopportarvi?” (Mt 17,17; Mc 9,19; Lc 9,41).
Confessando la fede, ci si rende subito conto che “tutto è possibile a chi crede” (Mc 9,23). Quando il Signore si avvicinò al giovane malato, lo “spirito muto” (Mc 9,17) vide la fine del suo potere sul giovane indifeso – “Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando.” (Mc 9,20).
Con la sua parola (la parola di vita), Cristo pone fine a una malattia senza cura (l’epilessia unita alla possessione demoniaca); l’evangelista Luca, abile medico, annota che, vedendo il miracolo, “tutti erano stupiti della grandezza di Dio” (Lc 9,13).
Il Signore stende la mano e guarisce il giovane lunatico. La mano con cui il Signore ha fatto uscire Adamo dall’inferno e Pietro dalle acque agitate del mare, la mano che oggi farà risorgere il giovane lunatico dalla sua malattia, la vediamo tendere verso di noi in ogni Divina Liturgia – la sorgente mistica della guarigione interiore.
La guarigione che rivela il Mistero del Battesimo
Nel miracolo di oggi ci viene rivelata una cosa meravigliosa, una prefigurazione del Mistero del Battesimo. Il padre del bambino fa prima una confessione di fede: „Credo, Signore! Aiuta la mia incredulità!” (Mt 9, 24). Dopo questa confessione di fede, ha luogo l’esorcismo, seguito dalla guarigione e dalla restituzione del malato al suo stato precedente.
Nella guarigione del giovane lunatico c’è, come nel battesimo (Rm 6, 3), una morte silenziosa, ma anche una resurrezione – “il giovane rimase come morto” (Mc 9, 26), e il Signore lo prende per mano e lo rialza, lo resuscita – “Gesù lo prese per mano e lo rialzò, ed egli si alzò” (Mc 9, 26). Comprendiamo, quindi, che ognuno di noi, attraverso il Mistero del Battesimo, ritorna al primo stato dell’umanità, ricostruito attraverso la morte del Salvatore Cristo – “perché quanti siete stati battezzati in Cristo, siete stati rivestiti in Cristo” (Gal 3,27).
Dall’impotenza alla fede
Gli Apostoli che rimangono ai piedi del Tabor, mentre avviene la Trasfigurazione, si trovano di fronte all’impossibilità di guarire il giovane lunatico – pur avendo compiuto miracoli ancora più grandi, oggi rimangono impotenti. Spaventati e sconcertati, chiedono al Salvatore, appena sceso dal monte (come Mosè), cosa abbia causato questa infermità. Il Signore dà una spiegazione che rimane come una cartina di tornasole per tutti i cristiani: “a causa della vostra poca fede” – aggiungendo ciò che sembra davvero impossibile – “In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17,20).
Il Vangelo di Matteo, con cui oggi procediamo sul nostro cammino, mette in evidenza la situazione paradossale dei discepoli: scelti per essere testimoni della fede, oggi sembrano essi stessi mostrarsi poco credenti. La lezione, però, è per tutti noi, perché il Salvatore stesso ci mette davanti la soluzione: “Questa generazione di demoni può uscire solo con la preghiera e il digiuno” (Mt 17,21).
Digiuno e preghiera – ascesi e fede forte, queste sono le virtù che fanno miracoli, da qui il seme di senape comincia a germogliare. La Chiesa ha capito e ha sempre sottolineato che l’incredulità può essere vinta solo attraverso la preghiera e il digiuno.
Per questo l’apostolo Pietro ci invita anche a essere diligenti, affinché il sacrificio del Signore diventi fruttuoso nella nostra vita e sia veramente salvifico: “Siate dunque diligenti e aggiungete alla vostra fede le opere buone, e alle opere buone la conoscenza; alla conoscenza la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’amore fraterno; all’amore fraterno la carità. Se infatti queste cose sono in voi e aumentano, non vi lasceranno né fiacchi né infruttuosi nella conoscenza del Signore nostro Gesù Cristo”. (I Pietro 1:5-8).
La fede che sposta le montagne
San Giovanni Crisostomo interpreta splendidamente per noi il passo in cui il Signore parla della fede che è in grado di spostare (anche) le montagne (Mt 17,20): “Se chiedete: Quale montagna hanno spostato gli apostoli?, vi dirò che hanno compiuto miracoli ben più grandi, risuscitando innumerevoli morti. Né spostare una montagna è la stessa cosa che risuscitare i morti. Si dice che anche alcuni santi successivi, molto più piccoli degli apostoli, abbiano spostato montagne quando necessario”.
Quindi è chiaro che, se fosse stato necessario, gli apostoli avrebbero spostato delle montagne. Non li biasimo, ma se non avessero dovuto spostare montagne! D’altronde, Cristo non ha detto: “Sicuramente sposterete le montagne”, ma che “sarete in grado di farlo”. E se non hanno spostato le montagne, non le hanno spostate non perché non potessero farlo (come non potevano, quando facevano miracoli più grandi?), ma perché non volevano, perché non ne avevano bisogno.”
Spostare una montagna sembra impossibile per l’uomo di oggi, ma non dobbiamo dimenticare che nulla è impossibile per Dio, e questo è il senso delle parole di Cristo. È Lui che parla di fede nei miracoli e propone la parabola del granello di senape per mostrare quanto sia grande la potenza della fede viva e fruttifera.
Il granello di senape sembra così piccolo, ma ha una potenza vitale superiore a tutti i semi. Per questo il Signore dà il seme di senape come esempio per mostrare che, anche se è piccolo e debole, quando opera attraverso (e con) la grazia di Dio, la vera fede opera meraviglie mirabili.
Dal Sinai al Tabor
Secondo un’antica tradizione ebraica, il monte Sinai, dove il Signore si rivelò a Mosè e da dove ricevette le tavole della legge, accompagnò sempre il popolo eletto attraverso il deserto, in modo che in ogni momento del loro cammino verso la terra promessa, gli ebrei si trovassero faccia a faccia con Yahweh, il Dio onnipotente che li aveva fatti uscire dalla schiavitù.
Il monte della Trasfigurazione, il monte Tabor, secondo diverse interpretazioni esegetiche, è “questo monte” (Mt 17,20) a cui il Signore si riferisce quando parla ai suoi discepoli della fede – in sostanza, è il monte della grazia e della rivelazione divina, verso cui siamo chiamati a guardare per tutta la vita, nel silenzioso cammino dalla morte alla vita e dalla terra al cielo.
La fede che muove “questo monte” è la fede che muove i nostri cuori in un silenzioso movimento di grazia, affinché possiamo sempre sentire la presenza di Dio e la sua rivelazione salvifica nella nostra vita. A questo, però, si aggiunge qualcosa di più: perché la fede degli apostoli cresca, perché ricevano i doni dello Spirito Santo, Cristo è Colui che deve morire – da qui il secondo annuncio della Santa Passione. La vita è sempre legata al mistero della morte, fonte della Risurrezione. La sofferenza assunta e accolta è quella da cui scaturisce la grazia della guarigione.
“Perciò vi dico: qualunque cosa chiediate quando pregate, credete che l’avete ricevuta e l’avrete” (Mc 11,24).
Non è nella natura dell’uomo di oggi spostare le montagne con le sole parole, perché la montagna più grande rimane in fondo quella dell’incredulità ed è davvero inamovibile. Lo straordinario, però, è possibile per Dio, Colui che sposta le montagne dei nostri cuori, operando il più grande miracolo attraverso il cambiamento del cuore – “Vi darò un cuore nuovo e uno spirito nuovo; toglierò dalla vostra carne il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne!” (Ger 36, 26)
Per questo siamo chiamati a comprendere più profondamente che ognuno di noi, se non “dubita in cuor suo, ma crede che ciò che dice sarà fatto, qualunque cosa dica sarà fatta” (Mc 11,23). Questo è il granello di senape della fede, che elimina anche i più grandi dubbi del cuore – il granello di senape che ci lega silenziosamente a Dio e fa spazio alla sua crescita in noi.
L’apostolo Paolo, del resto, è stato il più grande di coloro che hanno capito che l’amore è ancora più grande della fede che muove le montagne, perché è la fede che muove l’intero universo e dà senso alla nostra vita – “se ho tanta fede da poter muovere le montagne, ma non ho l’amore, non sono nulla” (I Cor. 13:2). La fede abbracciata dall’umiltà e da tanto amore: è qui che il granello di senape germoglia davvero oggi.
Quando comprendiamo come lavorare con (e attraverso) il mistero dell’amore, non c’è bisogno di spostare le montagne, perché sono quelle che seguono colui che ha imparato ad amare veramente. L’amore fa rinascere il mondo e gli dà un nuovo senso, lo rimette su un sentiero di redenzione e lo colloca nella luce della salvezza e della divinità. Chi ama sale sulle cime più alte delle montagne (che non hanno mai bisogno di essere spostate), dove cerca di unirsi in modo misterioso a Colui che, proprio per farci assaporare l’amore, ci ha dato la vita eterna.
La Chiesa – luogo di digiuno e di preghiera
Oggi ci troviamo di fronte alla misura della fede che ci viene rivelata nel digiuno e nella preghiera. Non basta credere, bisogna anche compiere le opere della fede. Allo stesso tempo, la fede non si manifesta in modo egoistico e personale, ma è sempre messa in relazione con il prossimo (che cerca guarigione e conforto).
È proprio nella Chiesa dei santi che la fede è particolarmente visibile. Nella Chiesa non ci sono solo io (isolato ed egoista, con solo le mie afflizioni e i miei dolori), ma tutti noi che confessiamo e crediamo in Cristo Signore (il misterioso guaritore delle nostre anime e dei nostri corpi) – “e se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono insieme. E voi siete il corpo di Cristo e (ciascuna) membra” (I Cor. 12:26-27).
Nella Chiesa preghiamo insieme, portiamo insieme la croce della salvezza, ma soprattutto la croce di coloro che soffrono, nell’afflizione e nel dolore, di coloro che non hanno coraggio nella preghiera e forza nella fede. Da qui nasce l’amore che guarisce.
Comprendiamo, quindi, che i tempi e le stagioni lasciati dal Signore fino alla sua seconda venuta hanno come obiettivo il nostro pentimento. Attraverso il pentimento conosciamo veramente la grazia di Dio e i misteri divini e così santifichiamo la nostra vita e siamo in grado di aiutare chi ci circonda. Solo cambiando me stesso posso cambiare (anche solo un po’) qualcosa intorno a me.
Tutti siamo chiamati alla santità e a renderci graditi a Dio. La nostra unica difficoltà sulla strada della santità è il tempo limitato che abbiamo. Se santifichiamo questo tempo, santifichiamo noi stessi; se lo spendiamo nel peccato, lo perdiamo.
I sacramenti della fede
L’apostolo Paolo, nella Lettera agli Ebrei, dedica un intero capitolo ai misteri che ci vengono rivelati attraverso la fede. La fede si basa sulla speranza, sulla promessa e sull’amore: “La fede è la certezza delle cose che si sperano, la prova delle cose che non si vedono” (Eb 11,1).
La fede è sempre quella che guarda al futuro, alle cose non ancora viste ma sperate. È la fede che ci assicura che “tutto è possibile a chi crede” (Mc 9,23), che a chi crede veramente in Cristo “nulla è impossibile” (Mt 17,20)
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Vedendo queste cose, rafforzati anche nella giusta fede, osiamo dire, come Paolo, una parola di lode a tutti i santi:
“ i quali per fede vinsero regni, praticarono la giustizia, conseguirono le promesse, turarono le gole dei leoni, spensero la forza del fuoco, scamparono al taglio della spada, trassero forza dalla debolezza, divennero forti in guerra, misero in fuga gli eserciti stranieri. Le donne riebbero per risurrezione i loro morti; altri invece furono distesi sulla ruota e martoriati, non accettando la liberazione, per ottenere una migliore risurrezione. Altri ancora subirono scherni e flagelli, e anche catene e prigionia. Furono lapidati, segati, tentati, morirono uccisi di spada, andarono in giro coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, afflitti, maltrattati (il mondo non era degno di loro), erranti per deserti e monti, in spelonche e grotte della terra. Eppure tutti costoro, pur avendo avuto buona testimonianza mediante la fede, non ottennero la promessa, perché Dio aveva provveduto per noi qualcosa di meglio, affinché essi non giungessero alla perfezione senza di noi.”
(Ebrei 11, 33-40)
† Atanasie di Bogdania