La Trasfigurazione del Signore | La gloria della risurrezione prima della risurrezione
La Trasfigurazione del Signore | La gloria della risurrezione prima della risurrezione
Vangelo secondo Matteo 17, 1-9
La festa della Trasfigurazione del Signore, davanti ai tre apostoli benedetti, Pietro, Giacomo e Giovanni, ci pone di fronte al mistero della grazia, che comprendiamo pienamente solo alla Pentecoste, che compie e perfeziona ogni cosa.
Questa festa, cronologicamente parlando, avrebbe dovuto essere celebrata 40 giorni prima della Risurrezione del Signore (come veniva celebrata in origine), e quindi nella prima settimana di Quaresima. La Chiesa, nella sua saggezza, per non oscurare la gioia della grazia, né sciogliere il digiuno, ha disposto che questa festa sia celebrata 40 giorni prima dell’Innalzamento della Croce, che ci ricorda che senza sofferenza e patimenti non ci può essere Risurrezione. La Croce e la sofferenza sono legate alla Luce della Grazia, che oggi ci viene rivelata.
Inoltre, il racconto di Luca ci presenta ciò di cui i due profeti dell’Antico Testamento parlavano con il Salvatore Cristo sul Monte Tabor, cioè il mistero della sofferenza – “Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, i quali, apparsi in gloria, parlavano della sua dipartita che stava per compiersi in Gerusalemme. “ (Lc 9,30-31).
Dopo aver rimproverato Pietro (che guarda al primo annuncio della passione con occhi mondani, non comprendendo il mistero della sofferenza e della morte), dopo aver proclamato il mistero della Croce (Mt 16,24-27), il Salvatore rivela agli Apostoli una delle più grandi profezie della Scrittura: “In verità io vi dico che alcuni di quelli che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno” (Mt 16,28). Dopo sei giorni si compirà anche questa profezia (secondo i racconti di Matteo e Marco, e secondo Luca dopo otto giorni) – la Trasfigurazione e l’apparizione del Signore nella sua gloria nella luce increata. Gli Apostoli, che stavano accanto al Salvatore, oggi assaporano il Regno dei Cieli, prima di assaporare la morte – sperimentano la grazia della risurrezione, per comprendere anche il mistero della sofferenza.
Dalla luce della grazia alla forza della confessione
All’inizio, questa festa segnava anche l’anniversario annuale della consacrazione della chiesa sul Monte Tabor, costruita nel 326 dalla santa imperatrice Elena, madre dell’imperatore Costantino il Grande. Già nella seconda metà del IV secolo cominciò ad avere un posto speciale tra le grandi feste della Chiesa e, a partire dal V secolo, troviamo già sermoni e discorsi dedicati a questa festa da grandi santi della Chiesa come Cirillo di Alessandria, Leone Magno di Roma e Proclo di Costantinopoli.
Tre dei quattro evangelisti parlano della Trasfigurazione – Matteo (17,1-9), Marco (9,2-9), Luca (9,28-36), oltre al racconto di colui che fu testimone oculare e unico a parlare con il Cristo Salvatore sul Monte Tabor, avvolto dalla grazia divina – Pietro (II Pietro 1,16-19).
Era opportuno, infatti, ci dice il sinassario del giorno, che coloro che dovevano essere testimoni del tradimento, delle sofferenze sovrumane e delle Santa Passione del Salvatore, fossero rafforzati in anticipo per queste prove dalla vista della sua gloria.
Pietro è al centro dell’evento e gli è concesso di vedere pienamente il miracolo, perché aveva appena confessato la sua fede nella divinità del Cristo Salvatore – “Simon Pietro rispose e disse: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente“ (Mt 16,16). Giacomo il Maggiore fu il primo degli apostoli a morire per Cristo, diventando prima di lui un precursore nel martirio di tutti gli apostoli che assaggiarono la stessa sorte: “In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni” (Atti 12, 1). Giovanni, il misterioso apostolo dell’amore, sarà il primo a testimoniare con la propria esperienza la gloria di Dio: “E la Vita fu rivelata e noi l’abbiamo vista e vi testimoniamo e annunciamo la Vita eterna che era presso il Padre e che è stata rivelata a noi” (I Gv 1,2).
La gloria di Dio – fonte di grazia
Il Signore sale sul monte Tabor con tre discepoli “per pregare” (Lc 9,28) e nella preghiera si rivela nella gloria davanti ai tre apostoli che gli erano vicini e che furono testimoni dei più grandi miracoli compiuti da Cristo: Pietro, Giacomo e Giovanni. Troviamo qui uno specchio della Santissima Trinità nel seno dei dodici discepoli, ma perché possano (anche) raggiungere l’altezza della grazia a cui sono stati chiamati, vengono portati su questo alto monte, proprio per vedere i cieli che annunciano la Gloria di Dio.
Oggi vediamo la Gloria di Dio che è al di là della portata degli occhi del corpo, incomprensibile per la mente e il cuore dell’uomo, specialmente di quello decaduto. Vediamo qui una silenziosa prefigurazione della Risurrezione – la Risurrezione vista prima della Risurrezione. Alla Risurrezione del Signore, i discepoli e le donne mirofore, correndo al sepolcro, lo trovarono vuoto. Sebbene il sepolcro fosse la fonte della Vita, con i loro occhi corporei videro solo la pietra in cui era stato scavato il sepolcro e il sudario vuoto. Oggi, al momento della Trasfigurazione, il Signore mostra loro ciò che avrebbero dovuto vedere nel sepolcro, oltre alla pietra e al sudario: La luce della grazia, la luce della risurrezione.
La nostra ascesa a Dio avviene attraverso la preghiera
Il Salvatore sale sul monte con i suoi discepoli per insegnare loro a pregare. In apparenza tutti sappiamo pregare, ognuno secondo le proprie capacità, ma come pregare e come aprire il cuore a Dio sembra sempre così difficile. Il luogo del mistero dell’incontro dell’uomo con Dio si rivela essere il cuore pieno di preghiera.
Il cuore è il tesoro nascosto di cui parla il Salvatore, il luogo dove arriva la grazia di Dio, il luogo dove la grazia di Dio arriva all’uomo che vuole lasciare il peccato abbracciando la grazia. Il monte Tabor rappresenta l’ascesa che l’uomo compie verso Dio attraverso la preghiera, staccandosi dalle preoccupazioni del mondo e da tutto ciò che ci rende schiavi e ci allontana dalla preghiera.
Mentre il Salvatore sale sul monte in preghiera, cambia aspetto e si rivela ai discepoli e agli apostoli in tutta la pienezza della sua divinità. Rivela loro la Luce della Grazia, di cui San Gregorio Palamas parlerà più tardi, 1300 anni dopo, nella sua disputa con Barlaam di Calabria.
Attraverso questa Luce increata della Divinità e attraverso lo Spirito Santo, il Salvatore Cristo abbraccia amorevolmente l’intera umanità.
San Gregorio Palamas diceva che, come Dio si mostra increato, così le energie (la grazia, la luce divina che gli apostoli videro sul Tabor) che scaturiscono da Lui sono anch’esse increate.
Chiunque (oggi) sia unito misticamente a Cristo nel Battesimo, vivendo secondo i suoi comandamenti, è profondamente impregnato della grazia divina – la stessa grazia che travolse gli apostoli sul Tabor. Così comprendiamo meglio ciò che disse Sant’Atanasio di Alessandria: “Dio si è incarnato perché noi diventassimo dèi”, cioè Cristo, che è Dio per natura, si è fatto uomo perché noi uomini diventassimo dèi per grazia.
La presentazione della Santissima Trinità
Il racconto del Santo Apostolo Pietro, nella sua seconda Epistola Cattolica, ci svela in verità la rivelazione della Santa Trinità nella Trasfigurazione sul Monte Tabor – “Poiché egli ricevette da Dio Padre onore e gloria quando giunse a lui quella voce dalla magnifica gloria: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto”. E noi stessi udimmo quella voce che veniva dal cielo, quando eravamo con lui sul monte santo. “ (II Pietro 1, 17-18).
Attraverso la parola profetica, pronunciata dall’apostolo toccato dal soffio della grazia, ci viene rivelata la misteriosa presenza dello Spirito Santo, rivelazione della Santa Trinità nella Trasfigurazione: la voce del Padre, il cambiamento di aspetto del Figlio e la rivelazione dello Spirito Santo attraverso i due profeti che stanno con Cristo. La Trasfigurazione è (anche) una rivelazione della Santa Trinità.
Attraverso la luce della grazia, l’uomo è nutrito dall’amore di Dio.
L’apparizione dei profeti Mosè ed Elia, riconosciuti dal Santo Apostolo Pietro in questa icona della Trasfigurazione, rappresenta la Legge, incarnata da Mosè e i profeti, rappresentati da Elia. Nella figura dei due profeti vediamo due rivelazioni di Dio nell’Antico Testamento: a Mosè, nel suono di trombe, tuoni e fulmini, quando sale sul monte per ricevere le tavole della Legge (Esodo 19, 16, 18-19) e poi quella di Elia, quando gli appare sul monte Oreb nel “soffio di un vento leggero” (3 Re 19:12).
Queste due immagini (teofanie) ci vengono poste davanti per elevarci dallo stato dell’uomo decaduto, l’uomo della legge che sa vivere solo di comandamenti, allo stato di uomo pacificato, il profeta che si nutre di grazia attraverso il soffio della parola. E per grazia scopriamo l’amore di Dio.
Alla fine del libro di Malachia, l’ultimo dei profeti dell’Antico Testamento, ci troviamo di fronte alle immagini di Mosè ed Elia, presenti anche alla Trasfigurazione: “Ricordati della Legge di Mosè, mio servo, al quale diedi comandamenti e ordinamenti sul monte Oreb per tutto Israele. Ecco, io vi mando Elia, il profeta, prima della venuta del giorno grande e terribile del Signore, che ricondurrà il cuore dei padri ai loro padri e il cuore dei figli ai loro padri, perché non venga a colpire il paese con una maledizione” (Mal 3, 22-24).
La rivelazione di Mosè ed Elia significa anche due modi di vedere Dio: attraverso la Legge, che significa obbedienza e timore, ma anche attraverso la brezza leggera rivelata dalla parola pacifica e confortante di Dio. La rivelazione e il disvelamento fatti a Elia sono più profondi, sono quelli che ci preparano al misterioso passaggio dall’Antica Legge alla Nuova Legge, che è abbracciata nel mistero dell’amore di Dio.
È stato Mosè a scrivere la Legge per ordine del Signore, è stato Elia a custodire la Legge. Mosè ha ricevuto i comandamenti e gli ordinamenti della Legge sul monte Sinai; Elia, che vive una teofania divina sull’Oreb, è colui che ha messo la Legge nel cuore degli uomini, affinché non fossero più puniti, rivolgendo il cuore degli israeliti verso Dio e di ciascuno di loro verso il suo prossimo.
I due profeti che accompagnano Cristo mostrano (anche) i due volti della rivelazione di Dio, la legge che deve essere adempiuta per comprendere l’amore che ci viene mostrato – la legge chiama al pentimento, che trasforma il cuore dall’interno e qui inizia il nostro cambiamento (di aspetto), qui il tumulto si trasforma in pace, il suono della tromba in una brezza confortante, il terremoto in pace e il fuoco in grazia. In questo modo, possiamo superare la paura del castigo di Dio e acquisire la pace spirituale e profumata della salvezza.
Dal Sinai al Tabor
A differenza del volto di Mosè, che risplendeva di una gloria proveniente dall’esterno, dopo la rivelazione sul Monte Sinai (Esodo 34,29), il volto di Cristo appare sul Monte Tabor come una fonte di luce, una sorgente di vita divina, resa accessibile all’uomo e che si è diffusa anche sulle sue vesti, cioè sul mondo esterno, ma anche sulle cose fatte da mani umane.
San Giovanni Damasceno ci dice che “Egli cambiò aspetto, non assumendo ciò che non era, ma mostrando ai suoi apostoli ciò che era, aprendo i loro occhi e facendo in modo che vedessero, ciechi com’erano”.
La teofania vista da Mosè sul Sinai, che portò alla ricezione della Legge da parte del popolo d’Israele, rappresenta una dimostrazione di forza (imposta dall’esterno), così come la Legge, attraverso i suoi comandamenti e divieti, significava una certa forzatura della coscienza dell’uomo ad obbedire a Dio. La teofania sul Tabor, che portò alla vista di Dio da parte degli apostoli, rappresenta un superamento della manifestazione di forza, mostrando la vicinanza a Dio e la conoscenza di Lui attraverso la luce morbida della grazia. È sul Tabor che la legge si ferma, trova la sua fine naturale, perché la grazia possa operare – la grazia può muovere solo cuori liberi, cuori toccati dal mistero dell’amore.
Agli Apostoli viene rivelata la conoscenza della pace interiore e della tranquillità, che fa desiderare a Pietro di fermare quel momento (il desiderio di eternità!), per rimanervi, nella gioia, per sempre – “Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia“. (Mt 17,4). L’uomo viene veramente a conoscere Dio, questa volta non per paura, ma attraverso la parola dell’amore e dello Spirito – il grande passaggio dalla Legge alla Grazia.
Dopo che Pietro ha parlato a Cristo, il monte Tabor è avvolto da “una nube luminosa” che “adombrava gli Apostoli”, i quali “erano pieni di paura” ed entrando nella nube udirono una voce che diceva: “Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo” (Mt 17,5). Gli Apostoli, presi dalla paura, “caddero con la faccia a terra ed erano terrorizzati” (Mt 17,6). Davanti a loro rimane solo il Cristo Salvatore, che affida loro ancora una volta il mistero della pace: “Alzatevi e non abbiate paura” (Mt 17,7). Dove c’è grazia non c’è paura.
L’icona che rivela il mistero
L’icona della Trasfigurazione ha Cristo al centro, che risplende in modo particolare, con le vesti immerse in una luce viva. Ai lati ci sono Mosè ed Elia, che rappresentano la Legge e i Profeti.
Mosè ha in mano le tavole della Legge, mentre Elia è rappresentato come un uomo anziano con i capelli lunghi. Mosè è l’immagine della mitezza, “perché era più mite di tutti gli uomini della terra” (Num. 12,3), mentre Elia è il profeta zelante per il vero culto di Dio. Entrambi indicano la prescienza e il giudizio di Dio.
I tre apostoli presenti alla misteriosa metamorfosi – Pietro, Giacomo e Giovanni – cadono a terra ai piedi di Cristo, sopraffatti dalla rivelazione della gloria divina. Cristo, che è il Raggio del Padre e la Luce del mondo, diffonde fasci di luce misteriosa tutt’intorno, abbracciando l’intera creazione.
Giacomo e Giovanni, i figli del tuono, stanno con il volto chino a terra e le palme delle mani coperte, incapaci di guardare il mistero della rivelazione. Pietro, invece, è quello che non riesce a distogliere lo sguardo dal Cristo Salvatore, l’unico dei discepoli a parlare: “Maestro, è bene che stiamo qui; facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia” (Lc 9,33).
L’icona è di per sé anche una prefigurazione della Chiesa che sarebbe poi nata dal costato trafitto del Salvatore, essendo i discepoli testimoni della Gloria e anche della Risurrezione di Cristo – “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro” (Mt 18,20).
La rappresentazione iconografica mostra la più alta rivelazione data agli apostoli. Essi vedono Dio così com’è attraverso gli occhi dei tre (la pre-immagine della Chiesa). Sono i testimoni silenziosi del legame indissolubile tra il Padre e il Figlio, attraverso la rivelazione dello Spirito Santo che si rivela. È il momento più alto della rivelazione di Dio.
L’icona è sublime e unica, perché intorno a Cristo troviamo il Cielo e la Terra, l’Antica e la Nuova Alleanza, i Santi che resistono nella Gloria di Dio e quelli che verranno a testimoniarlo, assaporando la morte con il loro martirio. Tutta la storia umana, che sta di fronte alla Divinità, è posta davanti a noi dalla luce di questa icona che rivela il mistero di questa teofania.
“Dio è luce e il suo sguardo è luce” (San Simeone il Nuovo Teologo).
La festa della Trasfigurazione ci rivela anche il mistero della luce di Dio, per cui l’evangelista Giovanni (I Gv 1,7) ci insegna a “camminare nella luce, come lui è nella luce”. Ci rivela anche che Cristo è “la luce del mondo” (Gv 8,12); lui, Cristo Signore, si rivela a noi come “il Verbo (che) era la vera Luce, che dà luce a chiunque viene nel mondo” (Gv 1,9).
Anche Matteo, l’apostolo ed evangelista, ci esorta con le parole del Signore: “Fate risplendere la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,16).
Il Credo ci rivela la confessione che Cristo, Colui che ci appare per la salvezza, è Luce dalla Luce, e il dolce canto dei Vespri ce lo mostra come “la luce splendente della santa gloria del Padre celeste”.
La Luce della Grazia si vede in ogni Divina Liturgia
Siamo tutti chiamati oggi a compiere un’ascesa spirituale sul Tabor del nostro cuore, dove incontreremo in modo mistico la Luce di Cristo, che cambierà la veste delle nostre anime, come diciamo ogni volta alla Divina Liturgia prima della lettura del Vangelo: “Risplenda nei nostri cuori, o Signore, amante degli uomini, la luce imperscrutabile della conoscenza della tua divinità, e apra gli occhi della nostra mente alla conoscenza della tua predicazione evangelica”.
Oggi il Monte Tabor si è trasferito nel Santo Altare, l’altare delle chiese che rivelano il mistero della Vita. La Luce della Grazia sorge ad ogni Divina Liturgia dal Calice Eucaristico a cui il Signore ci chiama – c’è il cambiamento di aspetto nella luce che non si spegne mai. Attraverso la comunione, questa Luce ci dà vita e guarisce i nostri cuori feriti dalla malvagità di questo mondo, l’immagine di Cristo torna ad abitare nuovamente in noi.
Oggi, l’intera creazione, visibile e invisibile, partecipa alla Trasfigurazione del Salvatore e glorifica la divinità di Cristo, il Figlio di Dio, venuto nel mondo per salvare ogni anima che crede in lui. Anche noi abbracciamo la luce della grazia di Dio, cantando con voce dolce un canto di lode:
“Ti sei trasfigurato sul monte, o Cristo Dio, mostrando ai tuoi discepoli la tua gloria, per quanto essi fossero in grado di vederla. Fa brillare anche per noi peccatori la tua eterna luce. Per le preghiere della Madre di Dio, Signore che doni la vita, gloria a te!”.
(Tropario della Trasfigurazione)
† Atanasie di Bogdania