Domenica 16 a dopo Pentecoste | Il mistero dei doni celesti
La parabola dei talenti
Vangelo di Matteo 25, 14-30
Proprio prima dell’Entrata a Gerusalemme, dopo la profezia sulla fine dei tempi (con cui ogni generazione si confronta) e la misteriosa parabola delle dieci vergini, l’Apostolo ed Evangelista San Matteo ci presenta la meravigliosa parabola dei talenti, che sarà seguita, in questo 25° capitolo, dalla narrazione del giudizio universale e dei criteri secondo cui avverrà – incontreremo questo vangelo proprio prima di intraprendere la Santa e Grande Quaresima.
Luca, il diletto medico ed evangelista, ci presenta una parabola simile, raccontata dallo stesso Cristo, nel medesimo contesto, mentre si dirigeva verso Gerusalemme, dopo aver lasciato Gerico e aver convertito il pubblicano Zaccheo, ma questa volta si tratta della parabola delle mine.
Due occhi che hanno visto e quattro orecchie che hanno udito la stessa parabola (o forse Cristo l’ha raccontata due volte?), ci mettono oggi di fronte al Padre Celeste, che „partendo, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni” (Mt 25, 14), distribuendo la grazia divina tra gli uomini (coloro che sono sempre invitati al banchetto del Figlio del Re) che saranno quindi dotati di molte grazie – i talenti.
Il Signore si ritira, mantiene il suo misterioso riserbo (che ci stupisce ancora oggi), non invadendo la libertà dell’uomo, non costringendolo con nulla, ma neanche lasciandosi costringere da nulla. Il Padre divide la sua ricchezza, una nuova (ri)creazione del mondo, simile a quella del Paradiso (perduto), quando Adamo ed Eva ricevono, in dono, tutto il mondo visibile per governarlo, ma anche per moltiplicare il dono ricevuto (Genesi 1, 28).
Nel racconto di Matteo, la ricchezza del Signore sono i talenti (doni, virtù o talenti che potremmo chiamare) che darà, ma darà sempre, ad ognuno di noi, alla nascita. I talenti (un talento valeva 60 mine, cioè 6.000 denari in moneta romana) sono il simbolo stesso della ricchezza celeste: stavolta, rappresentano la grazia, questo dono gratuito e perfetto di Dio attraverso il quale (ri)genera, (ri)costruisce, (ri)edifica tutta la creazione.
Circostanza misteriosa, Dio non aspetta di dare la ricompensa dopo aver visto lo sforzo della nostra vita, ma fin dall’inizio ci incorona di doni, a ciascuno di noi dona ogni ricchezza, ci lascia l’eredità terrestre, affinché, in seguito, in Paradiso, possiamo gustare l’eternità.
„A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì” (Mt. 25, 15)
San Gregorio Magno, nelle sue omelie sul Vangelo di Matteo, ci spiega che „L’uomo che partì lontano affidò i suoi beni ai suoi servi, cioè diede i suoi doni spirituali a coloro che hanno creduto in Lui. A uno diede cinque talenti, a un altro due, e a un altro uno. Ci sono cinque sensi del corpo: vista, udito, olfatto, tatto e gusto. I cinque talenti rappresentano il dono dei cinque sensi, cioè la percezione delle cose esterne; i due talenti simboleggiano la teoria e la pratica, mentre il talento singolo simboleggia solo la teoria.”
„Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere il regno e poi tornare” (Luca 19, 12).
Luca, colui che ha scritto per i gentili, ha una visione interamente escatologica di questa parabola, ma allo stesso tempo realistica riguardo al contesto in cui è stata detta. Gli apostoli stavano aspettando il nuovo Regno proprio in quel momento – „poiché credevano che il regno di Dio sarebbe apparso immediatamente” (Luca 19, 11) – e Cristo allora si rivela attraverso una parabola, Egli è infatti l’Uomo di nobile stirpe, che salirà al Padre per divinizzare la natura umana e per ristabilirla nel seno della Santissima Trinità, qui inizia davvero il tanto atteso Regno.
Il Suo soggiorno sulla terra non aveva altro scopo se non l’espiazione dei peccati di coloro che non si erano pentiti, dall’epoca di Adamo fino all’ultima anima (che soffre in segreto), donando all’umanità lo Spirito Santo – pienezza e perfezione, Colui che ci adotta, per grazia, affinché non siamo più orfani.
Ecco perché anche San Gregorio Magno interpreta dicendo: „Chi è quest’uomo che va lontano, se non il nostro Redentore che è salito al cielo con il corpo che ha assunto? La terra è il luogo adeguato al corpo, ma va lontano con esso quando lo conduce nei cieli”.
Le dieci mine, dalla narrazione di Luca (cioè 100 denari) che lascia agli uomini (cosa interessante che tutti ricevono la stessa somma, senza differenze, il Signore non pone limiti alla grazia), rappresentano la pienezza e la perfezione – il volto misterioso di Dio, con il cui sigillo siamo benedetti al nuovo nascere, attraverso acqua e Spirito – il Battesimo.
Luca aggiunge un dettaglio essenziale, assente nella narrazione di Matteo, ossia la forte esortazione – „Fatele fruttare fino al mio ritorno!” (Luca 19, 13) – l’uomo è chiamato durante la sua vita terrena a portare frutti, a moltiplicare la grazia, ad aumentarla, a raggiungere „l’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, la condizione di uomo maturo, alla misura della piena statura di Cristo” (Efesini 4, 13).
C’è anche un altro significato, approfondito nella grazia, in questa narrazione di Luca, e cioè che il popolo di Israele, a cui è stata raccontata la parabola, colui che è stato chiamato a preparare il Messia secondo la carne (partito per prendere possesso del regno e poi tornare – Luca 19, 12), ha rifiutato il Re dei re – „i suoi cittadini lo odiavano e inviarono dietro di lui un’ambasciata con questo messaggio: Non vogliamo che costui regni su di noi” (Luca 19, 14) – da cui anche il forte carattere escatologico, ma anche il dolore immenso portato dal Signore Gesù, che assaggia la morte dell’uomo che lo rifiuta. C’è anche un legame innegabile qui con la parabola dei convitati alle nozze. L’uomo ha sempre saputo approfondire la ferita (ancora sanguinante) della separazione da Dio, attraverso il rifiuto (sempre attuale) che gli viene presentato.
„Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro” (Mt. 25, 19)
Ci dice il Vangelo che ciascuno di coloro chiamati ha ricevuto doni „secondo la sua capacità” – il Signore è sempre giusto e amorevole verso gli uomini, conoscendo il cuore e il pensiero di ciascuno, dispensando la sua grazia con saggezza, in base alla capacità con cui la renderemo feconda nel terreno arido del nostro cuore.
San Gregorio il Magno ci assicura che „il Signore, che ha distribuito i talenti, ora ritorna e chiede conto, perché Egli, Colui che adorna l’uomo con doni spirituali, chiederà al giudizio quale guadagno è stato ottenuto con essi e presterà attenzione a ciò che ognuno ha accumulato e peserà il guadagno che porteremo indietro dai suoi doni”.
Le tre tipologie di persone che hanno ricevuto i talenti sono tre modelli di anima, che comprendono, misticamente, l’intera umanità. Il primo riceve cinque talenti e con essi ne guadagna altri cinque – è il ritratto degli israeliti dal cuore puro, che hanno accolto e creduto nel Signore Gesù Cristo. I cinque talenti ricevuti in dono rappresentano la Legge (il Pentateuco dell’Antico Testamento), mentre i cinque guadagnati si rivelano essere il compimento del Nuovo Patto dell’amore, rivelato per grazia.
Tutti coloro che hanno portato frutti degni si rivelano essere adempienti dei dieci talenti (5+5 talenti) delle divine Leggi rivelate da Mosè (il Decalogo).
Il secondo riceve due talenti e con essi ne guadagna altri due – rappresenta i pagani che hanno ricevuto la Buona Novella credendo in Cristo. I due talenti ricevuti in dono rappresentano il Vangelo e i Santi Misteri, mentre quelli guadagnati si rivelano essere la fede nelle due nature di Gesù Cristo e il compimento delle opere buone, che si nascondono nei comandamenti della Nuova Legge – la Legge dell’Amore (immortale).
Il terzo riceve (solo) un talento, che seppellisce nella terra (nel profondo dell’anima) – rappresenta tutti coloro che hanno rifiutato (e ancora oggi rifiutano, lottando con odio) Cristo, passando di fianco al mistero della salvezza.
La voce del Signore risuona anche per noi oggi, per tutti noi che abbiamo nascosto al nostro prossimo il talento della salvezza – „guai a voi, scribi e farisei ipocriti! Perché chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché voi non entrate, e non permettete a coloro che vogliono entrare di farlo” (Mt 23, 13). Rifiutare il talento affidato significa rifiutare Cristo stesso, rifiutare la cooperazione sinergica con il Signore, rifiutare il mistero dell’amore, che è sempre sacrificato. E ancora una volta ci imbattiamo nel messaggio nascosto nella parabola degli invitati al banchetto.
È anche un rimprovero doloroso, sempre attuale, rivolto a Dio – l’uomo ha chi lo ami, in fondo, ha il suo talento misero e privo di grazia, non avendo bisogno del volto dell’amore crocifisso, doloroso ma vero, che si dirige verso la crocifissione, lasciando in dono l’eredità della grazia (il vero talento) – l’unica che eleva le anime alla perfezione e alla salvezza.
„Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone” (Mt. 25, 18).
Povera anima che ha ricevuto un solo talento, che ha sepolto profondamente nella terra, nascondendo il tesoro del suo Signore, assomiglia a coloro che non hanno usato le proprie virtù al servizio del Signore („perché ha dato solo ciò che ha dato e richiede solo ciò che ha dato, non ciò che è nostro”, ci assicura Sant’Ambrogio di Milano). Rinunciando a cercare il beneficio spirituale e senza mai alzare il cuore dai pensieri mondani, queste anime hanno cercato solo ciò che appartiene al corpo e non allo spirito.
„Signore, ti ho conosciuto come un uomo severo, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso” (Mt 25, 24)
Ci imbattiamo nel peccato eterno mai guarito che Adamo commise nel Paradiso – la mancata assunzione di responsabilità – Dio si mostra sempre colpevole della caduta dell’uomo, che si giustifica e si discolpa all’infinito. Colui che riesce ad assumersi la caduta, alla fine, potrà alzarsi vittorioso, perdonando.
L’anima che ha ricevuto solo un talento, che ha anche sepolto, ci dicono i Padri, assomiglia a coloro che hanno ricevuto la grazia del battesimo, ma non hanno compiuto le opere della fede, per questo anche il dono di grande valore (sepolto nel profondo del cuore) sarà dato a coloro che non sono battezzati, ma che si sono dimostrati degni di lode attraverso le opere di carità e l’amore cristiano.
Le anime portate in schiavitù, prive di grazia e misericordia divina, perdono tutto il loro tesoro spirituale. Qui è nascosta il paradigma del Vangelo: „Perché a chi ha sarà dato e sarà abbondantemente dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Mt 25, 29).
„Avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse” (Mt. 25, 27)
San Gregorio il Magno ci insegna che „dare l’argento ai banchieri significa consegnare l’insegnamento della predicazione a coloro che possono passarlo ulteriormente. Se vedi il pericolo in cui mi trovo perché tengo il talento del Signore, stai altrettanto attento al tuo! Ciò che hai ti sarà richiesto con interesse. Tutto il discorso sull’interesse è che ritorna più di quanto sia stato dato”.
Giusta ingiustizia
Il Signore ha dotato ciascuno con doni meravigliosi, a volte incomparabilmente elevati – e chi può dire di averli meritati? In tutte le cose piene per la nostra salvezza, Cristo ci mostra sempre (per donarci questi talenti) una giusta ingiustizia: Prende forma umana, affinché l’uomo possa assumere la forma divina; assapora il dolore, affinché l’uomo assapori la grazia; assapora la morte, affinché l’uomo assapori la Vita; solleva il peso del peccato, affinché l’uomo riceva la vittoria del perdono; prende la croce delle nostre debolezze, affinché noi riceviamo la benedizione della Sua Resurrezione; cancella le nostre colpe, affinché noi partecipiamo ai Suoi Misteri; perdona ogni nostro peccato, affinché siamo riconciliati con il Cielo; ci invia lo Spirito Santo, affinché non siamo più orfani; ci ricolloca nel seno della Santa Trinità, affinché siamo di nuovo figli del Padre Celeste. Ci chiama a gustare il Cielo – e quanto dolce è questo richiamo!
Dobbiamo imparare, più che mai, a custodire questi misteri che oggi ci sono stati mostrati, con santa e profonda umiltà, seguendo le parole dell’Apostolo Paolo, che dice: „Per la grazia che mi è stata data, dico a ciascuno di voi di non pensare più di sé stesso di quanto si debba pensare, ma di pensare con giudizio, ciascuno secondo la misura della fede che Dio gli ha dato” (Romani 12, 3).La cena celeste
Il talento nell’evangelo di oggi è anche il prezzo, dato in dono, per l’ingresso alla cena celeste ed eterna, alla quale il Signore ci chiama con impazienza fin dai tempi antichi. Dal battesimo in poi, portiamo in noi, operante, il „Sigillo del Dono dello Spirito Santo” – siamo vestiti con un abito regale, abbiamo il talento donato e siamo chiamati alla cena celeste.
La grazia ricevuta ha sigillato i nostri sensi per crescere nella partecipazione delle cose celesti, alzare finalmente gli occhi al Cielo (poiché solo da lì i talenti si moltiplicano), vedere le cose di Dio, udire e comprendere la parola di Cristo, parlare parole di lode e di benedizione, sentire il fuoco della fede che fa vivere e salva, lavorare per il Signore e camminare sulla Sua via, essendo sempre presenti alle nozze mistiche ed eternamente celesti, che sono la Divina Liturgia.
Per coloro che desiderano gustare il cibo regale, che la Divina Liturgia rivela e condivide, Dio stesso viene incontro, donando loro il tanto desiderato talento, scrutando e toccando il cuore di ciascuno con il soffio della grazia celeste – la gioia di essere sempre a tavola con Colui che diventa il nostro nutrimento verso la vita eterna.
Lì, i due talenti diventeranno quattro, i cinque diventeranno dieci, là il presente abbraccia l’eternità e tutto diventa grazia su grazia.
Signore, non toglierci il talento della salvezza, ma chiamaci alla Cena dove assaggeremo in eterno il mistero dell’amore con cui ci hai vestito fin dall’inizio!
† Atanasie di Bogdania