Domenica dopo il Battesimo del Signore | Il Pentimento – il mistero di una nuova nascita (Inizio della predicazione del Signore)
Vangelo secondo Matteo 4, 12-17
Nel nostro viaggio attraverso i misteri del Vangelo, che ci svela la vita eterna dopo aver visto il Signore nato nella mangiatoia di Betlemme e perfettamente manifestato, come ci dice San Sofronio di Gerusalemme, nella Festa dell’Epifania, oggi accogliamo nelle nostre anime la parola principale con cui Cristo inizia la sua predicazione – il pentimento.
Cromazio di Aquileia ci rivela il significato di questa chiamata, ovvero “confessando i nostri peccati, dimostriamo di essere degni di avvicinarci al regno dei cieli. Nessuno può infatti ricevere la grazia del Padre Celeste se non è stato purificato da ogni macchia del peccato attraverso la confessione del pentimento, attraverso il dono del battesimo del Signore e Salvatore nostro”.
L’appello al pentimento è stato spesso udito dalla bocca dei profeti dell’Antico Testamento, essendo il filo rosso che ha legato il destino dell’uomo caduto a Dio, che ha sempre atteso il suo ritorno. San Giovanni Battista e lo stesso Salvatore Cristo hanno iniziato la loro predicazione con l’appello: “Pentitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (Mt. 4, 17), riprendendo la chiamata così spesso presente nelle Scritture – la chiave della riconciliazione con il destino del paradiso perduto.
Colui che ha operato (nell’Antico Testamento) e opera questo pentimento (nella Nuova Legge dell’amore) – il cambiamento della nostra mentalità e orientamento, dal declino alla salvezza – è lo stesso Signore, che si pente dei nostri mali, portando su di sé i peccati del mondo caduto, chiamandoci ogni volta con una voce misteriosa:
“Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina.” (Ezechiele 18, 30)
“Preparate le parole da diree tornate al Signore;
ditegli:”Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene: non offerta di tori immolati, ma la lode delle nostre labbra. (Osea 14, 3)
” Chi sa che non cambi e si ravveda e lasci dietro a sé una benedizione? Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio.” (Gioele 2, 14)
” Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.” (Giona 3, 10)
“Ora pentitevi e date gloria al Signore Dio dei nostri padri” (Esdra 9, 8)
“Pertanto, mi riprendo e mi pento nella polvere e nella cenere” (Giobbe 42, 6)
“Tu, Signore, secondo la tua grande bontà, hai promesso pentimento e perdono a coloro che ti hanno offeso, e secondo la tua grande misericordia hai deciso il pentimento dei peccatori per la salvezza” (Manase 1, 8)
“Perché ho seguito le vie del Signore, e di fronte al mio Dio mi sono pentito” (2 Re 22, 22)
“Si pentirono e confessarono: Il Signore degli eserciti ci ha ripagato secondo le nostre vie e le nostre azioni, come aveva deciso di fare” (Zaccaria 1, 6)
Metanoia – riorientamento della mente, che porta al riorientamento della vita
Il pentimento, in greco metanoia (μετάνοια), indica un cambiamento di pensiero e di vita che produce teologicamente una conversione interiore, un vero spostamento verso la grazia. Il termine suggerisce fin dall’inizio ciò che intendiamo per pentimento – la redenzione dai peccati, ma anche la conversione, ovvero il riorientamento verso una nuova direzione, stavolta positiva.
Il pentimento è innanzitutto il ritorno dal peccato alla virtù e alle opere buone, dall’illegalità all’osservanza dei comandamenti del Signore e all’opera del bene, che porta alla perfezione. Per il pentimento è sempre necessaria molta preghiera. La preghiera e il pentimento vanno sempre di pari passo, sono inseparabili. Il pentimento implica un impegno interiore fondamentale, verso Dio, riconoscendolo prima di tutto giusto in tutte le cose, solo così possiamo (ri)trovare la Via (buona) e la Verità.
Così, attraverso il pentimento si ottiene la vera guarigione che ci trasforma dall’interno e ci umilia profondamente. Il pentimento rivela l’autentica umiltà e ci libera dall’inferno della disperazione che deriva più spesso dall’orgoglio.
“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.” (Is. 9, 1)
L’Evangelo con cui viaggiamo oggi parla anche della misteriosa Luce, che giunge nel mondo caduto e oscurato dall’oscurità del peccato, per portare grazia e benedizione – “la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno compresa” (Gv. 1, 5). Il Signore inizia la sua predicazione nelle terre di Zabulon e Neftali, precisamente a Cafarnao, dove ha compiuto la maggior parte dei miracoli, preparando la strada per l’acquisizione del Regno ben noto verso la salvezza.
Dall’Antico Testamento sappiamo che le tribù di Zabulon e Neftali furono le prime ad essere deportate nella schiavitù babilonese (2 Re 17), poi anche gli abitanti della Giudea furono colpiti dalla stessa crudele sorte, per la mancanza di pentimento – una tragedia eterna. I Padri della Chiesa, in particolare San Giovanni Crisostomo, hanno visto in questo la provvidenza divina, poiché era giusto che tutti coloro che erano stati colpiti dall’ira di Dio fossero i primi ad essere coperti dalla sua misericordia. Coloro che erano stati condotti in schiavitù a causa delle cadute, oggi vedono la Luce – Cristo, Colui che è stato mostrato al mondo, portando per primi alla libertà dello spirito – verso la grazia divina.
Oggi si rivela la Luce tanto attesa dai profeti, oggi Isaia si rallegra vedendo la Luce eterna (Isaia 60, 19) che ha risplenduto su coloro che erano nelle tenebre – “Io, la Luce, sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv. 12, 46).
Oggi, il Signore ci rivela che chiunque “fa il male odia la Luce e non viene alla Luce, perché le sue opere non siano riprovate” (Gv. 3, 20).
Oggi, il Signore ci rivela il mistero della verità, poiché “chi fa la verità viene alla Luce, perché le sue opere siano manifeste, perché sono fatte in Dio” (Gv. 3, 21).
Oggi siamo chiamati ad avere la Luce, a credere nella Luce e a essere figli della Luce (Gv. 12, 36).
La grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo (Gv. 1, 17)
Il mistero della conoscenza della grazia, mossa dall’amore, inizia con la predicazione del Precursore del Signore, che separa le acque dei due testamenti e si rivela essere la pietra angolare tra la vecchia Legge e la chiamata della Grazia salvifica e liberatrice.
Giovanni il Battista, vestito con una veste di peli di cammello, mostra alla fine la selvaggia e dura vita caduta, in cui giaceva il mondo che il Salvatore sarebbe venuto a liberare; lui, che indossa una cintura di pelle intorno ai fianchi, ci mostra la chiamata all’obbedienza carnale per le cose spirituali, attraverso l’incarnazione di Cristo.
Il Precursore, Elia mostrato di nuovo, che gli ebrei aspettavano, che mangia locuste e miele selvatico, ci rivela con questo la mancanza di consistenza nella vita senza fede, e il miele selvatico non è altro che la dolcezza alla quale il Signore ci chiama (sempre), attraverso la Grazia, uscendo dall’angustia dei confini esterni, che cercavano la salvezza solo attraverso la Legge.
Il Regno di Dio- benedizione, guarigione e ripristino
Il Regno menzionato nell’appello al pentimento di San Giovanni e del Signore Gesù sembra essere una benedizione, una guarigione e un ripristino dell’antico uomo, in un abito che richiede costantemente rinnovamento attraverso il pentimento. In questo senso, il Signore stesso ci mostra la strada per cercare il tanto desiderato Regno, rivelando che è dentro di noi (Luca 17, 21).
Quindi, il pentimento non significa altro che orientare la nostra esistenza, con tutte le sue potenzialità e qualità, verso l’interno, dove, mediante il Sacramento del Battesimo, Dio ha stabilito il Suo luogo santo, desiderando fare di ciascuno di noi una chiesa (tempio) del Dio vivente (2 Corinzi 6, 16).
Solo chi ha purificato il proprio cuore mediante il pentimento può ricevere la grazia dello Spirito Santo, rendendosi degno della pace e della dolce gioia che essa porta, manifestandosi a noi come una colomba, proprio come una volta, sopra le acque ritirate del diluvio purificatore dei peccati del mondo, volò la colomba inviata da Noè, portando nel suo becco un ramo di ulivo, segno di vita rinnovata e di riconciliazione di Dio con l’uomo rinato.
Il pentimento, quindi, è ciò che restaura (ripristina segretamente) l’uomo, veramente e lo riporta all’immagine primordiale, quella del Salvatore Gesù Cristo. Il Regno di Dio si manifesta come il regno della filiazione – la luce perduta oggi è nuovamente vista negli occhi offuscati dalla grazia.
La Santa Trinità si manifesta nel momento della creazione e della ricreazione
Se il consiglio nascosto nella Trinità Santa si svela nel momento della creazione dell’uomo, che porterà il desiderio d’amore nel suo cuore, ecco che, anche nel momento della nuova creazione attraverso la grazia, al Battesimo, avviene la Divina manifestazione.
San Gregorio Palamas ci rivela che, nelle Sacre Scritture, si afferma che il Signore, manifestato nella Trinità, fu Colui che decise fin dall’inizio di creare l’uomo: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Genesi 1, 26). Dio Padre costruisce l’uomo a immagine del Verbo – il Figlio molto amato, che si incarnerà, e gli dona la vita mediante lo Spirito Santo – vediamo la Rivelazione della Trinità. Doveva quindi, insiste San Gregorio Palamas, che Dio, manifestato nella Trinità, si rivelasse (di nuovo) anche nel momento del ripristino dell’uomo mediante il Sacramento del Battesimo.
Dammi un abito luminoso, Tu che ti rivesti di luce come di un manto
Si tratta dell’abito della grazia, perso dal vecchio Adamo e ritrovato dal Nuovo Adamo – il Signore Gesù Cristo. Se Adamo perse l’abito della grazia divina per la disobbedienza nata dall’orgoglio, il Salvatore viene a darci l’esempio dell’umiltà, Lui, l’unico senza peccato, il Figlio dell’Altissimo, scende nelle parti più basse della terra, diventando per tutti noi un esempio di pentimento.
In questo mistero, il Signore si pente – non dei Suoi peccati – ma dei mali, delle cadute e soprattutto delle nostre mancanze (quanto profondamente ha capito questo il re Manasse), per incoraggiarci anche noi, peccatori, a pentirci per i nostri peccati, ma anche per i peccati dei nostri antenati, che non hanno avuto la fortuna di ascoltare e comprendere la Parola del Signore.
Seguendo Cristo, capiamo che dai nostri pentimenti fioriscono i gigli dei campi nei cuori spezzati di questo mondo. Tutto parte dalla nostra persona. L’uomo grato, che ringrazia il Signore (anche per ciò che non ha) soprattutto per le prove e i dolori, per la croce, per le tribolazioni, apre il mistero del Regno.
Riconoscenza e pentimento guariscono il passato e danno significato al futuro, trasformano la povertà (spirituale) in prosperità, la tristezza (del cuore) in gioia, l’agitazione (del pensiero) in pace, l’oscurità (dell’essere più profondo) in luce – e la luce ci fa conoscere il Signore e gustare la Vita! Solo ciò che amiamo può guarire, ciò che perdoniamo può lenire, ciò di cui ci pentiamo (ed è qui il mistero!) può salvare, e ciò che ricopriamo delle nostre stesse lacrime diventa la pietra angolare per il Paradiso, a cui il Signore ci chiama costantemente.
Il tempo della vita – il tempo del pentimento
Ma come possiamo vincere le cose del corpo? Come possiamo piacere al Signore? Come possiamo rinunciare ai peccati, alle debolezze, alle abitudini, alle cadute? Come possiamo santificare la nostra vita? Come possiamo santificare il tempo senza sprecarlo? La risposta ci viene data dai Padri della Chiesa: il tempo della vita è il tempo del pentimento, il tempo del nostro lavoro, poiché il pentimento, come slancio e costante ritorno a Dio, non ha fine in questo mondo. La vita si manifesta come un pentimento continuo, o meglio, il pentimento è l’opera della nostra vita – “una scala che saliamo al posto in cui siamo caduti”, come l’ha visto così bene San Efrem il Siro.
Se ogni giorno fisseremo la nostra mente e il desiderio del nostro cuore su Dio e sulle cose eteree, vedremo gradualmente che ciò che è destinato alla morte, nelle nostre anime e nei nostri corpi, sarà pervaso dalla Vita (2 Corinzi 5, 4).
In realtà, il nostro lavoro per tutta la vita deve essere quello di permettere a Dio di parlare nei nostri cuori e di operare in noi, tutte le cose gradite a Lui e utili a noi e al nostro prossimo, per la salvezza. O come ci insegna profondamente San Porfirio Kavsokalivita: “Quindi non c’è bisogno di preoccuparsi delle spine. Non lasciatevi catturare dalla ricerca del male. Così vuole Cristo, che non ci preoccupiamo delle passioni e del nemico… Non diventate santi cacciando il male. Lasciate il male. Guardate a Cristo e Lui vi salverà. Pregate: Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me. Lui sa come avere pietà di voi, in quale modo. E quando vi riempite di bene, non tornate al male. Diventate, per grazia di Dio, buoni. Dove troverà ancora spazio il male? Scompare!”
Se sei caduto, alzati, e se sei caduto di nuovo, alzati di nuovo!
Gridiamo dietro a Cristo perché abbia misericordia di noi, ma non adempiamo ai Suoi comandamenti, il cui scopo è illuminare e guarire noi stessi attraverso la misericordia. Colpiti dalla disperazione e dalla sofferenza, la nostra unica salvezza, comunque, è solo il pentimento e il perdono. Oggi è il giorno in cui siamo chiamati a seguire queste parole, mettendole nel cuore e lavorando con l’arte delle arti – il pentimento.
San Isacco il Siriano ci insegna, nelle sue Parole ai monaci: “Nulla è più amato da Dio e nessuna preghiera è più rapidamente esaudita della preghiera con cui l’uomo chiede perdono per i suoi errori e forza e aiuto per correggerli; essa impedisce facilmente la loro punizione, anche se si tratta di errori piuttosto gravi” – da cui comprendiamo l’opera di una vita per ottenere il pentimento.
Non dimentichiamo! Attraverso il perdono e il pentimento, ogni cuore spezzato può diventare un cuore di Risurrezione, simile alla tomba vuota sul Golgota, dove la morte è stata vinta per sempre! Da questa vittoria e dal nostro pentimento puro sgorgano i tesori della nostra fede: la luce (anche se viviamo incerti nell’oscurità), la speranza (senza aspettative illusorie, senza inganni) e l’amore (anche se il mondo è immerso nell’odio).
Abbiamo il coraggio di abbracciare il mistero del pentimento. È l’unico che ci porterà alla Resurrezione!
† Atanasie di Bogdania