Domenica prima di Natale | Libro delle nazioni – Libro della Vita degli Antenati di Cristo – Genealogia di Gesù
Vangelo secondo Matteo 1, 1-25
-I-
Un Vangelo importante ci viene proposto oggi, poco prima della grande festa della Natività del Signore, dopo un dolce digiuno, nell’attesa di Colui che viene a stare con noi, l’Emmanuele – come Isaia ha visto e profetizzato – il Figlio di Dio, che diventa Figlio della Vergine.
Profondamente penetrante nelle sue spiegazioni, Cromazio di Aquileia rivela il mistero dell’incarnazione di Cristo, rimasto nascosto per 42 generazioni:
“Gli evangelisti ci aiutano a riconoscere sia la nascita divina che quella corporea del Signore, che descrivono come un doppio mistero e una doppia via. In effetti, sia la nascita divina che quella corporea del Signore sono indescrivibili, ma quella dal Padre supera di gran lunga ogni mezzo di descrizione e meraviglia. La nascita corporea di Gesù è avvenuta nel tempo; la sua nascita divina è avvenuta prima del tempo. L’una in questo tempo, l’altra prima dei secoli. L’una da una madre vergine, l’altra da Dio Padre. Gli angeli e gli uomini furono testimoni della nascita fisica del Signore, ma per la sua nascita divina non c’erano testimoni se non il Padre e il Figlio. Ma poiché il Verbo non poteva essere visto come Dio nella gloria della sua divinità, assunse la carne visibile per dimostrare la sua divinità invisibile. Ha preso da noi ciò che è nostro per darci generosamente ciò che è suo”.
Dio e uomo vero
In primo luogo, è opportuno sottolineare che gli evangelisti raccontano due genealogie. Matteo ce ne presenta una ascendente, che parte da Abramo (il padre di tutte le nazioni) e termina con Giuseppe, il promesso sposo della Vergine, da cui nascerà Cristo; mentre Luca – una discendente, che parte da Cristo e termina con Adamo, che si mostra come il figlio del vero Dio.
Matteo inizia la sua genealogia nel primo capitolo del suo Vangelo, mentre Luca la colloca subito dopo il battesimo ricevuto da Giovanni al Giordano, in modo da testimoniare che colui che viene nel mondo è veramente il Figlio del Dio incarnato.
In entrambi i racconti della genealogia c’è una parola chiave che segna il flusso delle generazioni, di queste stirpi, che lega il filo della storia – un vero e proprio leit-motiv. In Matteo è la parola “generò” (nel senso di “generato”), e in Luca è “suo Figlio” – perché solo così colui che diventa il Figlio dell’uomo si rivela il Figlio di Dio. Matteo mostrava il compimento del proposito del popolo eletto, cioè far nascere il Messia (vale a dire il Salvatore), Luca – che scriveva per i Gentili (pagani) – mostrava più profondamente che Dio è Colui che si incarna per vivere tra gli uomini, e per di più per portare loro il dono della salvezza. Ecco il significato nascosto: Dio si fa uomo, affinché l’uomo diventi Dio (Atanasio il Grande).
In Matteo c’è un’enfasi particolare sulla discendenza regale del Salvatore Cristo – dalla tribù di Davide e dalla tribù di Giuda – quel trono messianico che Dio promette all’amato re attraverso il profeta Natan.
Matteo voleva mostrare (agli ebrei, per i quali scriveva) che Cristo è veramente Uomo (il Salvatore, che aspettavano da secoli), figlio di Davide e vero Re (del vero Re), e Luca voleva mostrare che è il Figlio del vero Dio (del vero Dio) e quindi la Divinità incarnata. Il Cristo Salvatore si mostra come entrambe le cose: Vero Dio e Vero Uomo. Egli – Dio, uno della Santa Trinità, (oggi) incarnato – si fa sulla terra figlio di Davide e figlio di Abramo, portando la salvezza a tutta l’umanità.
42 generazioni – la grazia perduta e ritrovata
Matteo ci presenta nel suo Vangelo una prima linea di 14 generazioni fino al re Davide, una seconda linea di (sole) 13 generazioni, più l’esodo a Babilonia, che porta il numero a 14; e una terza linea di 13 generazioni, più la parentela tra Giuseppe il promesso sposo e la Madre di Dio, che porta di nuovo il numero a 14.
La prima linea di generazioni (i Gentili) nasconde in sé la grazia della chiamata mistica di Dio, attraverso le due figure messianiche che portano il sigillo della divinità e si rivelano come i padri di Israele: Abramo e Davide. L’alleanza (che si compie veramente solo nel cristianesimo) è data ad Abramo, e il regno (quello di questo mondo) si compie in Davide.
La seconda linea di generazioni (i Gentili) nasconde in sé la prova divina, la perdita della prima grazia, l’impotenza dell’uomo, la tentazione e la caduta – dalla gloria del grande Salomone, che termina la sua vita nella disobbedienza ai comandamenti dell’Altissimo, alla cattività babilonese – lo spostamento doloroso, come quello dell’Egitto, che pone fine al regno terreno del tanto provato popolo di Israele.
La terza generazione (i Gentili) nasconde in sé il sollevamento, il pentimento, il recupero della grazia attraverso l’umiltà – la sofferenza di essere sempre in schiavitù e servitù nascosta (esteriore), affinché nasca la pietra non temperata (interiore), in un popolo che non riacquisterà la libertà e l’agognato regno (qui) finché non griderà: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore” (Mt 23,39).
Trentanove volte troviamo la parola “generato” nel racconto di Matteo, e quando la serie arriva alla Madre di Dio, si raggiunge la cifra di 40, che mostra anche la serie di giorni di digiuno che ci hanno preparato alla grande festa della Natività.
La scoperta dell’opera di Dio, ad ogni generazione, si è rivelata in modo misterioso, per aprire la strada alla Sua incarnazione terrena. Al termine di quarantadue generazioni, in venti secoli di attesa, si è rivelata la Luce incarnata, frutto di pazienza e di sofferenza, di preghiera e spesso di patimenti, affinché nascesse l’inestimabile portatrice: la Madre di Dio, Maria, che si mostra senza peccato, affinché nasca l’unico senza peccato.
Secoli di ascesi e di profonda pazienza, uniti alla preghiera e alla fiducia sfrenata in Dio, sono stati necessari per illuminare e purificare la natura umana dalla macchia della disobbedienza peccaminosa, quella dolorosa rottura con Colui che ci ha dato la vita. Senza l’incrollabile fiducia che il Signore avrebbe mantenuto la sua promessa nascosta (fin dall’inizio), nulla sarebbe potuto accadere.
Cristo – Giudice, Re e Sommo Sacerdote eterno
Abramo è padre di molte nazioni (Gen. 18,18) – da esse nascerà Cristo. In modo misterioso, il Signore si mostra Giudice attraverso le prime 14 generazioni, come racconta Matteo, Re attraverso la rivelazione della seconda linea di 13 generazioni, ed eterno e vero Sommo Sacerdote nel racconto della terza linea di generazioni. Egli è Colui che è – Giudice, Re e Sommo Sacerdote eterno, al quale saranno portati anche i doni dei Magi – oro, incenso e mirra. L’oro, perché è il Re senza inizio e senza fine, il fondamento di tutto ciò che esiste; l’incenso, perché è il Sommo Sacerdote eterno, e la mirra, perché darà la sua vita sulla Croce per salvare tutti gli uomini con un giudizio giusto (eppure ingiusto – perché Colui che è senza peccato muore per il peccato impenitente dell’uomo). La giustizia divina si mostra come quella che toglie ogni ingiustizia impunita dall’uomo.
I nomi presentati nel racconto di Matteo non intendono necessariamente presentare un ordine cronologico esatto, a volte frainteso, ma piuttosto mostrare il collegamento ontologico con Abramo, Davide e l’esilio babilonese (grazia e pienezza, seguite da caduta e poi risalita), dopo il quale la vocazione messianica del popolo ebraico – che avrebbe generato Cristo – viene ripristinata (di nuovo). Dal cuore di questo popolo doveva nascere il Messia, perché l’unica nazione che, nel suo intimo, ha conservato intatto l’amore di Dio.
Possiamo porci la domanda naturale: che cosa vuole dirci davvero il Vangelo di Matteo con questo racconto – questa attesa di decine di generazioni che hanno spesso versato lacrime interminabili per la venuta di un Salvatore e Re, Redentore e Vincitore in tutte le cose – colui che viene (Maràna tha – Sì, vengo presto. Amen! Vieni, Signore Gesù!) alla fine dell’attesa, quando nessuno sembrava più credere, e in un modo non compreso da questo mondo. Il Signore, essendo ricco, si è fatto povero per (noi), affinché (noi) fossimo ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor. 8,9) – questo è il messaggio nascosto nell’incarnazione sopra ogni cosa.
L’obbedienza e l’umiltà portano la grazia
Due sigilli, dell’obbedienza e dell’umiltà beata, intrecciano la volontà di Dio con quella dell’uomo e coronano di grazia la linea delle nazioni, di quelle generazioni che (sembrano) scorrere e sono riuscite a tessere quel tessuto misterioso che è la natura umana del Cristo Salvatore.
Innanzitutto ci viene rivelata l’umiltà e la perfetta obbedienza di Abramo: “Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo, Abramo!” ed egli rispose: “Eccomi!”. (Gen. 22,1). Quel primo “Eccomi!”, che pone il primo sigillo spirituale, attraverso il prisma del dolore che porta la benedizione – “poiché hai fatto questo e non hai nemmeno risparmiato il tuo unico figlio per amor mio, per questo ti benedirò con la mia benedizione” (cfr. Gen. 22,16-17) – mostrerà la sua perfetta obbedienza, – mostrerà Dio sempre vinto dal suo amore – perché hai tanto amato il tuo mondo da dare il tuo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna (Liturgia di San Giovanni Crisostomo).
A questi si aggiungono l’umiltà e l’obbedienza intatta della Madre di Dio. Il nome della Madre di Dio- “Maria” (Miryam), in aramaico, significa “amante della luce”. Lei che ama la luce, ci rivela la vera Luce che illumina tutti. Dio si affida all’umanità attraverso la Madre di Dio, che sta al coronamento di 42 generazioni, perché la Madre di Dio ha portato al pentimento del mondo intero con il suo comportamento; e le sue lacrime non cessano mai (da qui l’inesauribile fonte di grazia della sofferenza), intenerendo il cuore di Dio per salvare il genere umano.
L’umiltà della Madre di Dio è per noi incommensurabile, incomprensibile e inimmaginabile. Questo mistero nascosto dell’umiltà lo incontriamo chiaramente nel primo capitolo di Luca: “Ecco la serva del Signore. Avvenga per me secondo la tua parola!”. (Lc 1,38) – una testimonianza che nasconde il tesoro della vita cristiana: affidarsi completamente alla volontà di Dio.
Per poter rispondere all’incommensurabile amore di Dio, che ha atteso con impazienza per secoli di redimere il vecchio Adamo, la Madre di Dio (che rappresenta l’intera umanità riassunta in modo misterico) doveva venire al mondo (prima di tutto) per unire la volontà di Dio con la volontà dell’uomo. Per la prima volta, il cuore di Dio e il cuore dell’uomo hanno battuto insieme nel cuore della Madre di Dio.
L’incrollabile obbedienza di Abramo (Eccomi, sono qui, sempre e in ogni cosa davanti a te) e l’indefettibile obbedienza della Madre di Dio (Ecco la serva del Signore, sono qui, sia fatto di me secondo la tua parola salvifica) sono le due virtù, quel Sì (impronunciabile, detto a Dio), che intreccia la misteriosa catena delle genti che hanno dato vita a Cristo, iniziata con Abramo e terminata con la Madre di Dio.
Questo redentore – Sì – abbraccia tutto il dolore nascosto nella serie delle generazioni che hanno atteso il momento della redenzione. Senza di esso, nulla sarebbe stato possibile, l’uomo ha dovuto imparare a pronunciare questo Sì approfondito nella grazia, nato dal dolore e dalla prova, dall’attesa che sembrava non finire mai (arriverà davvero?!), dalla preghiera, dalle lacrime, dalla prova, dall’ingiustizia, dalla schiavitù, dalla persecuzione, dalla sofferenza, dalla santità, dalla grazia profonda- Sì, vieni Signore!
Anche noi oggi siamo chiamati a nutrirci di umiltà e di obbedienza che liberano la maledizione dei secoli che si è abbattuta sull’uomo, perché solo queste possono veramente portare la benedizione, rompendo la morte che ci ha reso schiavi, donandoci la vita eterna!
-II-
Colui che è da madre senza padre e da padre senza madre
“Senza padre, senza madre, senza discendenza, senza inizio di giorni né fine di vita, ma essendo stato conformato a somiglianza del Figlio di Dio, rimane sacerdote per sempre” – dice l’apostolo Paolo nell’Epistola agli Ebrei (7,3), nascondendo l’immagine del Salvatore Cristo in quella di Melchisedec, re (Ierus) di Salem. Egli, l’increato, viene come un fiore, come un germoglio benedetto che spunta dalla radice di Iesse, che si incarna dalla Vergine Maria – il più grande dono del genere umano a Dio. Questo dono, che è stato purificato dal peccato e dal dolore per generazioni, fino ad arrivare a incarnare, attraverso Cristo, tutta la nostra natura umana. Questo dono inestimabile, che si mostra come la Madre di Dio – un calice così puro e bello da poter ricevere Dio per l’eternità. D’ora in poi nessuno e niente potrà separarci dal Cielo, dalla Divinità e dall’eternità – la natura umana si è intrecciata con quella celeste, per scoprire (ancora una volta) il mistero del Regno.
Con questo calice, portatore di Cristo e di salvezza, ci incontriamo ad ogni Divina Liturgia. È lì che il Signore attende in silenzio di incarnarsi (di nuovo da noi, dall’uomo – e con tanto desiderio!) in ogni anima turbata e stanca che viene a partecipare alla cena della vita eterna a cui tutti siamo chiamati.
„Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Matteo 1, 21)
L’angelo rivela a Giuseppe il mistero dell’incarnazione. Il Signore nascerà e gli verrà dato il nome di Gesù Cristo. Gesù (Ιησούς in greco) significa – YHWH (Dio) che salva, da cui la parola assunta in inglese – the Saviour. Cristo (Χριστός in greco) significa – משיח (in ebraico, cioè machiach) – da cui la parola Messia, che significa “unto” (di Dio). Colui che nascerà dalla Vergine è Gesù Cristo – il Salvatore, l’Unto di Dio. Cristo (il Messia tanto atteso) verrà a salvare il popolo di Dio e, attraverso di lui, tutti i popoli del mondo.
Il profeta Isaia (7,14), citato nel Vangelo di Matteo di oggi, ci rivela il significato del nome del Signore, che si affretta a venire al mondo: “Ecco, la Vergine partorirà un Figlio e lo chiameranno Immanuel, come sta scritto: Dio è con noi” (Mt 1,23). Il Signore è con noi, come era con Abramo, come era con Isacco e Giacobbe (Gen. 28,15), e rimarrà con noi fino alla fine dei tempi (Mt 28,20).
Il mistero dei misteri
Dio ha concepito l’uomo a immagine del Verbo, a immagine di Cristo – oggi l’uomo concepisce Dio in modo misterico, dall’immagine perduta e ritrovata, caduta e risorta, dalla fatica della preghiera e del dolore, della sofferenza e della pazienza – perché Dio, prendendo forma di servo, essendo fatto a somiglianza degli uomini, e trovandosi in apparenza come un uomo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, anche alla morte di croce (Fil. 2, 7 – 8). La croce diventa la cura per ogni malvagità, il rimedio che il Signore rivela per il perdono del peccato degli impenitenti.
Adamo cade dal Paradiso per disobbedienza e perde questo grande privilegio di vedere l’immagine di Dio, con cui parlava in segreto al crepuscolo della sera. I suoi seguaci parleranno al Signore (a volte) e il Signore risponderà loro, ma, dopo un po’, anche la voce edificante di Dio non risuonerà più nel cuore dell’uomo decaduto. Oggi, Dio si incarna, assume la forma dell’uomo – diventa il Figlio dell’uomo, nella pienezza dei tempi, – affinché l’uomo possa nuovamente vedere il volto di Dio e ascoltare la Parola di Dio e nutrirsi di Lui – perché Egli diventa veramente vita per noi. Siamo di nuovo in cielo!
I Padri della Chiesa ci dicono che non è mai esistito un mistero più grande dell’incarnazione del Verbo. È il mistero dell’universo, è il mistero dei misteri. Quest’opera stupefacente è il frutto dell’incontro tra Dio e l’uomo, che avviene nel profondo del cuore di una Vergine purissima – frutto della preghiera, lei, portatrice di luce, che ci rivela la Luce, che ci porta l’Eterno.
La venuta di Cristo nel mondo è anche la rivelazione di ciò che abbiamo vissuto domenica scorsa: il Signore, il Re dei secoli, ci chiama a un pasto di gioia. Egli viene nel mondo e ci offre una cena di pienezza, un banchetto dell’incontro mistico nella casa del pane – la Betlemme delle nostre anime, che si fa immagine della Chiesa, dove il Verbo fatto carne si rivela a noi. Questa volta, la cena è silenziosa ed eterna, non più il pasto preparato da Dio nel deserto per sfamare lo stanco popolo di Israele. Alla fine del cammino si rivela la ricompensa – e quanto l’abbiamo aspettata, quanto l’abbiamo desiderata?
La Chiesa è veramente la Betlemme in cui il Bambino vivificante nasce ogni volta nella mangiatoia del calice eucaristico, per realizzare questo ardente desiderio di stare alla mensa della vita con l’uomo che è venuto a redimere. L’amore si mostra sempre vittorioso, l’amore (perché in principio era l’amore) si incarna nel pane e nel vino – e questi diventano il banchetto reale – il banchetto della fede, il banchetto della vita, della speranza, delle nozze del mistero che non avrà mai fine.
La Quaresima sta per finire e tutti siamo chiamati a incontrare il Buon Pastore, il Bambino che nasce nella mangiatoia di Betlemme, per entrare nella grotta del nostro cuore e della nostra anima, di tutti noi. Come può il Signore entrare in questa grotta se non (oggi, sempre rinnovata ed eterna, senza fine) attraverso la Santa e Divina Comunione, se non attraverso la Liturgia – attraverso il Corpo e il Sangue vivificanti?
Un vangelo di confessione
Il Vangelo della genealogia del Salvatore, questo libro delle nazioni di Matteo, che ci viene rivelato nell’ultima domenica prima della grande festa della Natività, è (anche) una delle confessioni di fede di Colui che nascerà dalla Vergine. È un Vangelo che ci insegna veramente come riscattare il tempo (perché deve essere riscattato), come passare dalla caduta alla risalita, dal terreno al divino, attraverso il pentimento e, soprattutto, attraverso l’umiltà, come essere sempre lì, presenti, quando il Signore vi (e mi!) chiama – il Signore ha bisogno (anche) di noi.
Quella sfilza di nomi di uomini e donne (santi, ma anche semplici, persone di grazia, ma anche persone con cadute e debolezze), con cui abbiamo viaggiato oggi, ci hanno mostrato la santità, ma anche il peccato, la virtù, ma anche la caduta – ma quelle persone hanno saputo rispondere alla chiamata (sempre presente) di Dio, ovunque si trovassero, in quel momento di silenzio, hanno saputo portare frutto, essere presenti, dire sì, entrare nell’obbedienza divina, compiere ciò che erano chiamati a fare – entrare nel pensiero e nel mistero di Dio.
Oggi più che mai ricordiamo che ognuno di noi, portatore dell’immagine di Cristo-Dio e vero Uomo, è chiamato a riscattare il tempo attraverso il pentimento, a collaborare con (e per) il Signore, a entrare nel mistero della salvezza, che la Santa Trinità, Fonte di vita e di amore incommensurabile, ha preparato per ciascuno di noi.
Cristo è nato, glorificatelo!
† Atanasie di Bogdania