27ª domenica dopo Pentecoste | La guarigione della donna inferma
Dall’infermità del corpo a quella dell’anima
Vangelo secondo Luca 13, 10-17
„Donna, sei liberata dalla tua malattia. Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.” (Luca 13, 12-13)
Il Signore oggi libera la figlia di Abramo dall’impotenza di cui soffriva da tempo, spezzando la presa del demonio, dandole la vita, la piena salute e, soprattutto, la salvezza.
Il Vangelo rivela che la donna soffriva da più di diciotto anni di questo male e il Signore stesso la chiama figlia di Abramo, perché rappresenta l’incarnazione del popolo d’Israele – sempre ripiegato sulle cose terrene a causa del peso delle leggi dell’Antico Testamento, leggi che alla fine erano diventate solo un vuoto formalismo.
I dieci comandamenti ricevuti da Mosè sul monte – che hanno ordinato la vita del popolo eletto – e il mistero dell’ottavo giorno – la resurrezione senza fine, il giorno dell’età futura, il nuovo eone, l’alba dell’eternità, quando il Signore apparirà nel suo Regno – ci rivelano il significato dei diciotto anni (10+8) di dolore e sofferenza.
Dalla pienezza della legge (attraverso i dieci comandamenti), alla risurrezione (il settimo giorno), all’età della perfezione (l’ottavo e interminabile giorno), siamo chiamati a comprendere il mistero della sofferenza, nascosto in diciotto anni di necessità, che porterà alla risurrezione e alla salvezza.
La legge che ci lega alle cose terrene.
La donna non era storpia dalla nascita (l’uomo abbraccia il peccato e la caduta nella vita), ma uno spirito di impotenza la dominava da diciotto anni, lo spirito che la legava e la piegava, mostrandola in schiavitù, senza speranza, contando solo i momenti che la avvicinavano alla morte – il tempo benedetto da Dio è questo tempo di sofferenza, dolore e morte.
L’infermità della carne si rivela come infermità dell’Antica Legge, che si occupa solo di cose terrene, essendo legata esclusivamente alle cose esteriori; il volgersi dal cielo alla terra è il segno tangibile dell’inarcamento dell’anima di Israele – „ pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza.” (Mt 23, 25)
Il popolo eletto si è sempre indurito a causa della moltitudine delle consuetudini, che lo ha portato sempre più lontano dal mistero dell’amore e della misericordia (Rm 1,31): „ Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’aneto e sul cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle.” (Mt 23, 23)
L’Antica Legge, che in modo misterioso ancora oggi ci tiene legati alle cose del mondo, essendo portatrice di una redenzione effimera solo su questa terra, non è in grado di sollevarci (come il Signore sollevò la donna curva), non ci permette di guardare in faccia gli uomini (come Cristo li ha sempre guardati in faccia); essendo impotente, essa si occupa più dei caduti che delle anime assetate di eternità.
„Dio si è fatto portatore della carne perché l’uomo diventasse portatore dello spirito” (Sant’Atanasio il Grande)
Il Salvatore conosce tutte le anime sofferenti di questo mondo. Conosce anche la donna inferma, la vede e la chiama – perché quella donna non poteva nemmeno vederlo, china a terra – l’uomo decaduto è privo della vista e della grazia divina. È Cristo che le parla, senza aspettare di essere interpellato, perché la donna non gli chiede aiuto, né salvezza, né guarigione dalla malattia e dal tormento insopportabile in cui si trova – è il silenzio a parlare di più in questa profonda elevazione dalla morte alla vita.
Il Salvatore viene di sua iniziativa, chiama la donna (Eva, la vecchia) con la parola, la tocca con la mano, e gli esegeti dicono, in modo così bello, che in questo caso il Salvatore non opera il miracolo solo con la parola, ma la tocca – un gesto corporeo, perché Cristo non è solo la Parola di Dio, Cristo è anche il Verbo che si è fatto carne – una prefigurazione del mistero dell’Incarnazione –„E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.” (Giovanni 1, 14).
La nascita corporea del Signore Gesù Cristo, il mistero verso il quale stiamo camminando da qualche settimana, si rivelerà per noi un’occasione per riflettere sulla grazia “oltre la grazia” che egli porta all’uomo (oggi, alla donna guarita e, attraverso di lei, a tutti noi), di cui diventa anche figlio, e, soprattutto, sul modo in cui noi, ciascuno di noi, siamo chiamati a essere partecipi di questa grazia – „Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.” (Giovanni 1, 16-17).
Oggi, la legge di Mosè è adornata dalla grazia vivificante che tutti siamo chiamati a gustare.
Il mistero della Resurrezione
L’evangelista Luca è colui che ha osservato i dettagli più profondi dell’opera di salvezza di Cristo sulla terra, ed è l’unico a mostrare la maggior parte dei miracoli in cui la donna è centrale. Lo stesso vale nella nostra epoca, in cui ci viene mostrata una vera e propria riabilitazione della donna. Il Salvatore solleva (come sollevò Eva – icona mistica della discesa agli inferi) la donna piegata dal peccato, che giace con la testa a terra, e che viene raddrizzata: un sollevamento dal basso verso l’alto, “anastasis” – resurrezione.
Davanti a Dio siamo chiamati a stare in piedi, vere e proprie creature viventi della resurrezione eterna. Dio ci innalza, ci fa risorgere (ogni volta), ci solleva dalla schiavitù del peccato, da cui siamo legati (piegati), dallo spirito della caduta, affinché possiamo essere finalmente come gli angeli, che, stando in piedi, rendono incessantemente gloria a Dio (Lc 13, 13).
„Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?” (Luca 13, 15)
Sant’Ambrogio di Milano conclude questo Vangelo con una meravigliosa esegesi, svelando il mistero della conversione dei gentili al cristianesimo: „Perché Gesù nomina un’altra creatura? Per mostrare ai suoi avversari, i capi della sinagoga, le cose che verranno. Infatti, oltre ai Giudei, anche i Gentili si disseteranno alla fonte della sorgente divina: il bue conosce il suo padrone e l’asino la mangiatoia del suo padrone (Is 1,3); il popolo che si nutriva dell’erba che appassisce prima di essere raccolta (Sal 128,6) ha ricevuto il pane disceso dal cielo (Is. 6, 33)”.
Chiediamo anche noi al Signore, oggi più che mai, di liberare il dolore della nostra anima, piegata dalle preoccupazioni del mondo e dai peccati, dai dolori e dalle debolezze, – di nutrirci con il pane che scende dal cielo, – affinché anche noi possiamo lodarlo incessantemente in infiniti canti di lode!
† Atanasie di Bogdania