Il mistero della visione spirituale. Due volte cieco | 31ª Domenica dopo Pentecoste | La guarigione del cieco di Gerico
Vangelo secondo Luca 18, 35-43
San Cirillo di Alessandria fa luce fin dall’inizio su questa meravigliosa guarigione, con la quale il Signore inizia la sua ascesa a Gerusalemme, luogo della sua sofferenza e della sua risurrezione: „Il cieco fu guarito da due cecità. Non solo si liberò della cecità del corpo, ma anche della cecità della mente e del cuore. Non avrebbe glorificato Cristo come Dio se non avesse avuto la vista spirituale.”
Colui che l’apostolo Marco ci mostra con il nome di Bartimeo (Mc 10,46) vive nella rassegnazione e nel dramma, implorando e aspettando la misericordia. Qui si nasconde il destino di tutta l’umanità: accecata dalla caduta, priva di vista spirituale, seduta in disparte, si mostra infedele a Dio. L’umanità ha perso il suo scopo e la sua storia, sempre a spirale, segue la triade del dramma, di quello che San Massimo il Confessore definiva la tragedia dell’uomo (sempre attuale): il dolore, che cerca il piacere e lo porta (l’uomo, ancora) alla caduta.
L’umanità vive, come il cieco, di carità e non ne ha mai abbastanza, come il figliol prodigo, che cerca il ritorno, sempre vivo, al Padre celeste. Nella Gerico delle nostre anime (sotto il livello del mare – nel buio delle nostre cadute), c’è solo una possibilità per rompere l’impasse: salire a Gerusalemme, alla sofferenza, alla Croce – solo lì c’è la redenzione. L’abbraccio, nell’implacabile veste dell’amore, di questa via che porta al dolore, si rivela davvero la via della guarigione e del miracolo.
„Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!” (Luca 18, 38)
Ci viene rivelata la preghiera profonda del cuore, quella che unisce il cielo e la terra, quella che riconcilia l’uomo con Dio e pone le basi per il Regno dei Cieli, il luogo stesso in cui ogni anima, in preda al dolore e in cerca di guarigione, incontra il Creatore che ricostruisce nuovamente in ogni cuore spezzato il cielo perduto.
Bartimeo si dimostra un conoscitore delle Scritture, sa che il Nazareno non può che essere la discendenza di Davide, il misterioso re scaturito dalla verga di Iesse, tanto atteso e pianto dagli ebrei, da sempre sotto l’occupazione straniera. Figlio di Davide e Figlio di Dio, che prende le sembianze del Figlio dell’uomo – Colui che abita nel Regno dei Cieli, ma non dalle pietre della Gerusalemme terrena, bensì dalle pietre del pentimento e del dolore, dal calice della Croce da cui sgorgherà la vita – si riflette oggi negli occhi del cieco guarito.
Gli apostoli litigano su chi sia più grande (Mc 10,37) e più degno di stare alla destra e alla sinistra del Salvatore, passando per il mistero della terza e ultima passione, mentre Bartimeo, in pochi istanti, penetra nel mistero della Divinità e ne fa esperienza acquisendo la vista spirituale oltre che corporea.
„Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” (Mc. 10, 48)
Quando il dolore travolge le profondità toccate dalla grazia, colui che ascolta meglio di tutti non smette di gridare. „E chiamarono il cieco dicendogli: Coraggio, alzati! Ti chiamano” (Mc 10,49) – da questo grido, spesso della nostra stessa disperazione, il Signore ci viene incontro e si trova faccia a faccia con il dolore che sarà schiacciato dalle sue radici.
Il Signore ascolta continuamente il dolore sempre più acuto dell’uomo che soffre (e chi non porta una traccia di sofferenza?) e si ferma. Dio si ferma – San Gregorio Magno vedeva in questo „fermarsi” il simbolo della divinità di Cristo – l’uomo è sempre mutevole e sempre in cammino, mentre Dio è sempre lo stesso, è Colui che è (Gv. 3,14) – immutabile, ma sempre vinto dal proprio amore e dalla propria misericordia, che si mostrano incommensurabili.
Dalla bocca di uno degli apostoli (potrebbe essere Pietro, trafitto dal pentimento, dopo aver rimproverato al Signore di non seguire la via della Croce?) viene l’incoraggiamento: osate – chiama anche noi, ogni volta nell’ora della prova. Osiamo, perché il Signore è sempre con noi quando la sofferenza sembra insormontabile. Uno dei Padri diceva: quanto sarebbe contento il Signore se gli chiedessimo l’impossibile con fede rafforzata! Lì, davvero, si rivela la Divinità – nell’impossibilità.
„Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.” (Mc. 10, 50)
L’abito del peccato, l’abito del dolore, l’abito dell’afflizione e del lutto – viene deposto. Il miracolo non è ancora avvenuto, ma l’umanità non aveva più la forza di resistere nel vecchio abito, desiderando quello nuovo della grazia che si rinnova sempre, che vive sempre, che assapora la resurrezione. Ciò che il cieco avrebbe visto, nessuno lo sapeva con certezza, ma la fede viva e forte risultò vincente. Il cieco non ha (ancora) ricevuto la nuova veste della grazia, ma si è già spogliato della vecchia, venendo purificato dall’interno.
„E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!” (Mc. 10, 51)
Il cieco chiede a Cristo misericordia, poi osa e chiede la vista – la vista di nuovo, una seconda volta (perché prima aveva visto con occhi corporei), – ma questa volta non una vista fugace, non come quella che aveva perso, ma una vista dal cospetto del Signore, una vista che avrebbe aperto l’anima, una vista che avrebbe allargato il cuore, una vista che avrebbe dato la grazia che avrebbe rivelato il mistero della sofferenza. Il Signore opera in modo travolgente, gli dice che al posto della fede gli dà la vista, ma anche qualcos’altro, gli dà la salvezza dell’anima, il dono più grande!
Seguire Cristo: la via per soffrire (insieme)
Colui che aveva compreso il mistero della Divinità, il cieco di Gerico, oggi ha ricevuto la vista e segue Cristo. Questa sequela si rivelerà una sequela fino alla croce e alla sofferenza, essendo il miracolo compiuto da Cristo l’ultimo della serie di quelli che hanno illuminato la Galilea delle genti – ad esso se ne aggiungerà solo un altro, raccontato solo da Giovanni, l’Apostolo dell’Amore, ossia la resurrezione di Lazzaro.
Affinché l’uomo possa gustare la Vita, il Signore deve chiamarlo fuori dal sepolcro (di questa vita) per fargli gustare la Risurrezione. Avviene uno scambio (sempre) inequivocabile – il Signore assapora la morte, perché l’uomo assapori la Vita, ma prima di questo, prima della Passione, prima della Croce – all’inizio della salita verso Gerusalemme, Egli apre gli occhi a Bartimeo e, attraverso di lui, a tutti noi, perché possiamo non solo vedere, ma anche comprendere il mistero della salvezza eterna che sarà portata attraverso il Sacrificio sulla Croce.
Ho visto la vera luce
Il miracolo di oggi è la chiave che chiude un capitolo del ministero terreno di Cristo. Dopo Gerico, segue la salita a Gerusalemme, fino al Calvario – da qui il Salvatore non farà più miracoli, la sua missione finisce, in un certo senso inizia la sua sofferenza.
Il miracolo vissuto oggi rimane un miracolo simbolico, un miracolo che vuole parlare del nostro cambiamento interiore e spirituale nel nostro rapporto con Cristo. Un miracolo che vuole mostrarci ciò che è essenziale nella vita, ciò che il Signore vuole veramente da noi: vedere le cose attraverso un prisma divino, uscire dalla cecità spirituale, aprire il nostro cuore al Cielo.
Sant’Efrem il Siro conclude in modo così bello dicendo che „il Signore aprì al cieco gli occhi della carne, perché prima vide aperti gli occhi del suo cuore”. Il guarito, immagine di tutti noi, segue Cristo, si mette in cammino per soffrire insieme a Lui, lì dove anche noi siamo chiamati a metterci in cammino – seguendo, oggi, con occhi nuovi, Colui che è la Via, la Verità e la Vita (Gv. 14, 6).
† Atanasie di Bogdania