30ª domenica dopo Pentecoste | L’amore vivo nasce dalla carità
Il ricco sovrano – Osservare i comandamenti
Vangelo secondo Luca 18, 18-27
San Marco L’Asceta anticipa il messaggio nascosto nel Vangelo di oggi, dicendo: „Il Signore è nascosto nei suoi comandamenti e chi lo cerca lo trova secondo la misura del suo compimento… ed Egli stesso ha detto: Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv. 14,21).
Comprendiamo, però, che solo se adempiamo a (tutti) i comandamenti del Signore, arriviamo a conoscerlo nella misura dell’amore perfetto, a cui siamo chiamati a giungere, purificando il nostro cuore e la nostra mente da tutti i peccati (ricchezze raccolte) nel deserto di questo mondo decaduto (la nostra anima).
Bontà e perfezione
Il mistero del Vangelo che abbiamo incontrato oggi sta nel comprendere la grande differenza tra la bontà (e chi è veramente buono?!) e la perfezione. Il giovane ricco, colui che è buono nelle azioni, l’esecutore dei comandamenti dell’Antico Testamento, si trova di fronte all’impossibilità di diventare perfetto. La bontà sembra essere umana, la perfezione nasce dalla divinità. La bontà è utile e necessaria in un mondo colpito dal peccato e dal dolore – la perfezione, invece, è gratuita e misteriosa, come la bellezza, come l’amore, come il dono di sé, come il sacrificio, come le nozze dello Sposo nel Vangelo di Luca. Non dimentichiamo che siamo tutti chiamati alle nozze dello Sposo, a una condizione: l’abito dell’abnegazione che ci riveste in quello del pentimento!
Se volete essere perfetti – „vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; e vieni! Seguimi!” (Lc. 18,22) – è la parola del Signore, che diventa una pietra d’inciampo per il giovane ricco. Siamo chiamati a lasciare tutto (soprattutto la nostra volontà, che è dannosa sulla via della perfezione) e a seguire il Signore: ecco il mistero! Dare la nostra vita pienamente, rinnegare noi stessi, morire a noi stessi (e soprattutto al mondo) e seguire Colui che è venuto a darci la vita dalla Sua Vita: questa è la misura dell’amore a cui siamo chiamati!
Il sapore amaro della croce: il mistero della vita profumata dalla Risurrezione
Ciò che il Signore fa per la salvezza del mondo – prendendo la croce, alla quale ci chiama – diventa la misura per tutti coloro che vogliono seguirlo. Comportarsi da dèi (voi siete dèi e tutti figli dell’Altissimo – Sal 81, 6) in mezzo agli uomini (siano essi buoni) è la misura dell’amore che non viene mai meno.
Parola dura per un giovane che ha tutto, eppure rimane con un vuoto nel cuore. Dopo tutto, la cosa più difficile da abbandonare nella vita non è la ricchezza, che è esteriore e transitoria, ma la volontà di sé, che è interiore e spesso infrangibile.
Non siamo noi a osservare i comandamenti di Dio, ma sono i comandamenti di Dio a tenerci lontani da ogni male di questo mondo.
Nella ricerca della perfezione, di cui l’anima del giovane del Vangelo di oggi è assetata, il Signore gli dà la misura dell’uomo buono, retto, con una certa stabilità spirituale – la misura di chi si difende dal male, ma quanto è lontana questa misura dalla sete di immortalità, che solo la perfezione nel Signore può placare.
Nell’incontro che commuove il cuore del giovane, Cristo cita cinque dei dieci comandamenti ricevuti da Mosè sul monte, mettendoli in un ordine diverso da quello mosaico, mostrando in qualche modo che sono tutti nella stessa misura – non fare del male al tuo prossimo. Egli protegge l’uomo confinandolo con i comandamenti in modo che sia meno malvagio. Il Salvatore non pronuncia i comandamenti più importanti, soprattutto il primo, che mostra la misura dell’amore per Dio (Nessuno è buono se non un solo Dio – Lc. 18,19). I comandamenti definiscono il rapporto sempre vivo con il Signore (da cui deriva la vita), con il prossimo (da cui deriva la salvezza) e con noi stessi (da cui deriva la guarigione delle ferite passate) – il tutto coronato dal sacramento della confessione.
È nella misura in cui si ama Dio che si mostra la differenza tra l’essere buoni e l’essere perfetti. Ecco il passo decisivo che ci fa passare dal timore di Dio, all’amore per Dio.
„Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!” (Mc. 10, 21)
Il Salvatore guarda con amore colui che gli sta davanti: un facitore dei comandamenti, un cercatore d’amore, un pellegrino verso la perfezione. Colui che ha costruito l’uomo sa che il giovane farà il passo di lasciare tutte le ricchezze e le preoccupazioni del mondo per unirsi in silenzio a Colui che solo è perfetto.
Il Signore vede la ferita dell’anima di ciascuno di noi, come ha visto la ferita di questo giovane ricco che non era soddisfatto della sua vita – aveva sete di Grazia, aveva fame di Verità. Solo così possiamo capire che l’amore diventa vivo (il giovane era alla ricerca di questo amore, da cui scaturisce la Grazia) se è mosso dalla compassione. In fondo, tutta la Scrittura è misericordia, quella misericordia incommensurabile e quell’amore sconfinato per l’uomo – qui si nasconde il mistero della Santa Liturgia.
Il passo che il Signore ci chiede sembra difficile da fare tutto insieme – „Ma quello, udite queste parole, divenne assai triste perché era molto ricco” (Lc. 18, 23) – ma la tristezza ci colpisce quando dobbiamo rinunciare a tutto ciò che abbiamo (e cosa abbiamo?) per fare spazio al Signore nel nostro cuore. Anche ricevere la grazia è una crisi: la grazia smuove le profondità del cuore, ma spesso ci scuote anche.
„È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!” (Lc. 18, 25)
Il cammello viene mostrato come colui che porta il peso dei fardelli della vita (le ricchezze che continuiamo a raccogliere), e per passare attraverso la cruna dell’ago – la strettoia di Gerusalemme – deve prima mettere da parte tutto il suo fardello (tutte le preoccupazioni mondane lasciamole da parte), poi inginocchiarsi con i piedi davanti, chinare il capo (segno di umiltà) e passare pazientemente dall’altra parte. Sant’Arsenio il Grande dice che „la propria volontà è la porta di ottone tra l’uomo e Dio” – e quanto è difficile per noi tagliare la nostra volontà e abbattere questa porta spesso insormontabile.
Ma non dimentichiamo la conclusione: „ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio” (Lc. 18,27). Ciò che non possiamo fare, Dio lo compirà in noi: abbatterà la porta dell’orgoglio e resterà in piedi la porta dell’umiltà. Il Signore può sempre rendere piccolo il cammello e grande la spiga dell’ago!
La tradizione della Chiesa ci dice che il giovane ha fatto il passo decisivo, l’amore con cui il Signore lo ha guardato fin dall’inizio ha parlato. La ricchezza nascosta nei granai, un tempo donata ai poveri, è diventata luce e grazia inestimabile per l’anima di colui che è morto a questo mondo per vivere nel, con e attraverso il Signore.
Qui comprendiamo la parola pronunciata da Cristo: „Con la vostra pazienza guadagnerete le vostre anime.” (Lc. 21, 19)
Vita eterna è Cristo – chi lo segue la ottiene
La tentazione della ricchezza (quella del giovane) è in qualche modo anche la tentazione dei nostri antenati – avevano il Paradiso, ma avere Dio era troppo lontano dalla loro comprensione. Ciò che è tangibile, visibile, buono al gusto (l’albero della conoscenza del bene e del male) è sempre stato più attraente di qualcosa che non si vede (il mistero del cuore, impregnato di grazia) e che sembra molto al di là della nostra comprensione.
Comprendiamo che la povertà, di per sé, non è una virtù, non può ammorbidire, ma nemmeno nobilitare l’uomo – l’unico che può farlo è il Salvatore Cristo.
Perciò lo scopo della nostra vita non è incontrare noi stessi (con le ricchezze), ma Dio, il quale, „da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Corinzi 8, 9).
Questo è il mistero che gli apostoli hanno vissuto più profondamente, che sono venuti a guadagnare la Vita attraverso la mutilazione e la morte, e l’unica ricchezza che hanno guadagnato qui, in questo mondo, è stata la ricchezza nel tormento, nella persecuzione, nel disprezzo, nel dolore, nella sofferenza – per guadagnare Cristo alla fine.
San Paolo ha descritto in modo così commovente nella sua prima Lettera ai Corinzi cosa significhi veramente seguire il Signore, suggellando, con la propria esperienza, la sequela di Cristo:
„Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo percossi, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo. Vi prego, dunque: diventate miei imitatori!” (1 Corinzi 4, 11-16)
La nostra vera e unica ricchezza è Cristo!
Non perdiamola mai!
† Atanasie di Bogdania