Pane e vino
Sotto un impulso teologico, più che liturgico, abbiamo teso a concentrarci sul grande momento della metabole: quando e come il pane è trasformato in corpo di Cristo, il vino nel suo sangue? E la nostra attenzione è stata così deviata da ciò che c’era prima di quel momento.
Solo pane e vino: cose molto ordinarie. In tutte le liturgie, antiche e moderne, arriva un breve, grande momento quando queste cose molto ordinarie vengono offerte a Dio, mentre hanno ancora il loro carattere ordinario e naturale. Prendiamo due cose del nostro mondo quotidiano e creaturale e le collochiamo sull’altare.
Consideriamo il pane e il vino in quel momento. Perché sono là? Possiamo, naturalmente, considerarli come una semplice materia prima, puri strumenti per la venuta della grazia. In tal caso, il loro carattere particolare e la loro origine sarà irrilevante. Ma perderemmo di vista il punto centrale se pensassimo in questo modo.
La chiesa insiste sul fatto che il pane deve essere pane e il vino deve essere vino. Perché?
Queste cose poste sull’altare acquistano in tal modo un carattere separato e sacro. Esse stanno vicino al velo che separa il nostro mondo, la nostra esperienza quotidiana, dalla vita di Dio, e presto passeranno oltre quel velo. Ma il pane e il vino fanno questo passaggio, e lo fanno non solo come frutti di questo mondo – di questo campo di grano, di questa vigna -, ma come simboli e addirittura come mezzi di tutto il mondo nella sua interezza.
Si potrebbero citare tante fonti cristiane per illustrare il fatto che, secondo il pensiero della chiesa, la nostra offerta iniziale nell’eucaristia non è solo queste due cose, ma tutto il nostro mondo, tutta la nostra vita in tutte le sue dimensioni. Un grande poeta russo – non uno che andava in chiesa – ha detto una volta che quando il sacerdote celebra l’eucaristia tiene nelle sue mani tutto il mondo, come una mela?
Non si tratta solo di una cosa simbolica. È un fatto fortemente razionale. Il nostro mondo genera la vita; secondo la chimica della crescita, il pane si nutre di minerali morti; la nostra vita dipende da questo pane; il mondo “morto” diventa il nostro corpo, la nostra vita.
Se vogliamo considerare il mondo intero come qualcosa di sacramentale, deve essere anzitutto a causa di questa trasformazione che accade in tutto il processo della vita.
Quando offriamo il pane e il vino e li poniamo sull’altare, non solo il nostro atto ha a che fare con l’offerta di Cristo fatta duemila anni fa, ma lo colleghiamo anche alle basi fisiche della nostra condizione umana, come è esistita fin dall’inizio.
Alexander Schmemann, Chiesa, mondo e missione
(Lipa Edizioni, 2014 – P. 310-311)